Il progetto prevede, nelle scuole che aderiscono, l'istituzione di un nucleo composto dal Dirigente e da due docenti eletti dal collegio, più il Presidente del Consiglio di Istituto senza diritto di voto. Il nucleo valuta solo i docenti che hanno manifestato adesione alla sperimentazione. Sulla base del curriculum vitae, di un documento di autovalutazione e di "indagini svolte tra studenti e genitori" per "misurarne l'apprezzamento", viene stilata una classifica dei docenti. A quelli arrivati ai primi posti (ma non oltre il 15% -20%) verrà assegnato un premio pari a una mensilità lorda. La sperimentazione verrebbe attuata in un numero limitato di scuole in modo da "testare" un "protocollo" da estendere poi a tutto il territorio nazionale.
Il progetto è stato proposto in prima battuta alle scuole di Torino e Napoli, ma i collegi docenti di queste città si sono espressi in massa contro. Vista la mal parata, il ministero ora ci prova con Milano, grazie ad un ufficio scolastico che è considerato "molto ricettivo".
Sappiamo bene che tra i docenti e i genitori esistono idee anche diversificate su "merito" e "valutazione", ma non ci sembra il momento di aprire un tale dibattito. Coloro che intendono sperimentare sulla pelle della scuola sono gli stessi che hanno tagliato selvaggiamente il tempo pieno, ridotto le ore disciplinari, precarizzato la condizione lavorativa, e a Milano più che altrove visto la maggiore "ricettività" dell'attuale provveditore.
La sperimentazione e poi la sua eventuale generalizzazione è e sarà pagata coi soldi ricavati dai tagli che hanno ridotto drasticamente il numero di docenti e ATA, peggiorando la qualità della scuola pubblica e le condizioni di lavoro. E non è un caso: lo stesso ministero che ha contro tutto il mondo della scuola e dell'università, tenta ora la strada della divisione tra docenti e della concorrenza tra docenti e tra scuole, per riguadagnare un minimo di consenso. Se la sperimentazione venisse attuata creerebbe nella scuole un ambiente malsano fatto di campagne acquisti e corse al favoritismo, dannoso soprattutto per la didattica e lo sviluppo del sapere.
L'unico "merito" che chiediamo venga misurato con una "apposita indagine tra studenti e genitori" è la competenza della Gelmini e dei suoi "tecnici" a gestire una scuola della quale nulla sanno, se non che costituisce un "costo" di cui alleggerirsi.
Retescuole chiede ai docenti delle scuole milanesi di respingere fermamente e senza tentennamenti questa provocazione. Chiediamo agli studenti e ai genitori di far sentire la propria voce per impedire questa ulteriore offesa alla scuola. Chiediamo infine ai sindacati di mobilitare i propri iscritti, perché nessuna scuola milanese si macchi della complicità con chi la scuola la vuol distruggere.
ReteScuole
Il Consiglio d’Istituto dell’Istituto Comprensivo Niccolini di San Giuliano Terme
preso atto che:
- il Ministero ha deciso di dare il via entro la fine di dicembre 2010 ad una sperimentazione indirizzata ad individuare dei sistemi di valutazione e di misurazione delle performance delle scuole e dei docenti; - la sperimentazione riguardante la valutazione coinvolgerà, su base volontaria, le scuole secondarie di primo grado della provincia di Pisa prendendo in considerazione test standardizzati elaborati dall’Invalsi;
evidenzia che
1. L’approccio didattico implicito nella concezione della valutazione su test nazionali sostituisce all’insegnamento individualizzato, che tiene conto dell’universo dell’allievo e del contesto socio-culturale-economico in cui l’insegnante deve operare, una prova oggettiva asettica, che annulla, di colpo, la soggettività non solo dell’alunno, ma anche dell’insegnante; 2. Porre una relazione di dipendenza tra il risultato degli studenti nei quiz e il salario docente potrebbe indurre a dedicare una buona parte delle ore di lezione all’allenamento ai quiz, a dispetto delle reali necessità degli studenti e delle classi, imponendo inoltre ritmi e tempi obbligatori; 3. Imporre una concorrenza tra scuole e tra insegnanti all’interno delle scuole svilisce il senso della scuola pubblica e il ruolo costituzionalmente definito di promozione delle pari opportunità formative per tutti: la penalizzazione economica delle scuole che risulterebbero più in difficoltà avrebbe come effetto l’ampliamento della forbice, le cui prime vittime sarebbero gli alunni; 4. Nessuna “scientificità” è garantita da test uguali su tutto il territorio nazionale e nessun miglioramento della didattica può esistere a prescindere dal contesto in cui gli insegnanti si trovano ad operare.
Per questo invita
Gli altri Consigli di Istituto a esprimere dissenso verso questa forma di valutazione e i Collegi Docenti a non partecipare alla sperimentazione.
----- Ricevo ed accolgo la richiesta di pubblicare questo documento stilato dai colleghi docenti del "Convitto Nazionale 'Vittorio Emanuele" di Napoli:.
"In questi giorni sta circolando in alcune scuole di Napoli un progetto del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca che propone un meccanismo di incentivazione per gli insegnanti attraverso un premio di produzione ai professori che saranno giudicati “particolarmente meritevoli”.
Questo progetto, che richiede la partecipazione volontaria dei docenti, in via sperimentale riguarderà 20 scuole tra Napoli e Torino.
Come docenti ed educatori del Liceo classico europeo e del Liceo scientifico del Convitto nazionale statale “Vittorio Emanuele II” di Napoli ci dichiariamo contrari alla proposta del Ministro per diversi motivi.
Riteniamo, in primo luogo, che il problema del trattamento economico dei professori debba rientrare in un quadro di contrattazione sindacale e politica più ampio, che ci veda discutere insieme e fare insieme proposte, come categoria di lavoratori, per un riconoscimento della nostra funzione sociale e culturale.
Certo questo non è facile in un Paese che sembra non riconoscere altro obiettivo se non il profitto e che sembra misconoscere i valori di cui la scuola si fa portavoce: quei valori che mirano a creare donne e uomini capaci di esprimere un proprio parere ponderato sulle cose, che abbiano la capacità di partecipare in modo consapevole alla vita politica, di essere veri cittadini con strumenti di interpretazione della realtà che si fondano sullo studio della storia e sull’eredità culturale del passato.
E’ questo il primo motivo per cui consideriamo offensiva una proposta che semplicisticamente voglia offrire un “premio” a chi tra i professori risulti più gradito di altri.
La proposta, inoltre, sarebbe dannosa per la categoria e non risolverebbe alcun problema della scuola. Il nostro è un lavoro che richiede libertà e serenità e che non può e non deve confrontarsi con nessun indice di gradimento da parte di superiori, colleghi, genitori o studenti.
Altro motivo ancora è che riteniamo che il lavoro di insegnante sia sì un lavoro individuale, ma anche di team: è importante confrontarsi tra colleghi serenamente, senza pensare a premi di produzione o ad apparire più “bravi” per guadagnare qualche soldo in più. Sorgerebbero certo invidie e disaccordi e allora anche “il più meritevole” tra noi docenti avrebbe difficoltà a lavorare, perché spesso la nostra forza è la nostra unità, la condivisione di regole stabilite insieme e discusse nelle sedi che la democrazia scolastica ci offre. Molta parte dell’efficacia educativa deriva proprio da questa condivisione di intenti.
E’ necessario, dunque, che i professori ritornino a pensare come una categoria di lavoratori, con una propria dignità e con delle finalità comuni.
Insomma, questa “misurazione della performance del personale docente” non andrebbe affatto, a nostro parere “a vantaggio dell’intero sistema nazionale di istruzione e di formazione professionale”, né è questo il metodo per “permettere agli insegnanti di intraprendere un percorso di miglioramento e di crescita” né “per rendere più attraente la professione docente agli occhi dei migliori giovani laureati”, come sostiene invece il Ministro Gelmini.
Per tutti questi motivi alla proposta rispondiamo: “No, grazie, non siamo interessati: è un’idea sbagliata!”.
Se poi questo “premio di produzione” dovesse essere imposto dall’alto, almeno sapremo che, quando è stato chiesto il nostro parere, abbiamo fatto la scelta che ci sembrava giusta."
Sperimentazione del merito: più tempo alle scuole per aderire
Si è svolta ieri, 20 dicembre, una riunione al MIUR, presieduta dal Capo Dipartimento Risorse e Programmazione, Giovanni Biondi, finalizzata all'attivazione di un "tavolo tecnico" di confronto sui progetti di sperimentazione di procedure premiali annunciati dal ministro Gelmini nell'incontro con i sindacati dello scorso 18 novembre.
Presenti, oltre all'Amministrazione e ai sindacati, anche i rappresentanti dei soggetti esterni (Fondazione Agnelli, Fondazione S. Paolo, Treellle) coinvolti nel monitoraggio dei progetti - la cui attuazione è affidata alle scuole aderenti - e incaricati di redigere su di essi una relazione di ricerca finale.
Dopo aver illustrato in dettaglio i contenuti dei due progetti, l'Amministrazione
ha comunicato che i termini per la rilevazione delle disponibilità da parte delle scuole sono stati prorogati al 7 febbraio 2011, al fine di rendere possibili ulteriori approfondimenti con la presenza di esperti che avranno il compito di consentire ai collegi dei docenti un più dettagliato esame dei progetti medesimi;
ha reso noto che la sperimentazione sarà estesa anche ad altri ambiti territoriali: Milano, in aggiunta a Torino e Napoli, per il progetto seguito dalla Fondazione S. Paolo (premio ai docenti più apprezzati); Cagliari, in aggiunta a Pisa e Siracusa, per il progetto seguito dalla Fondazione Agnelli (premio alle scuole migliori per valore aggiunto).
Una decisione alla quale non è estranea, evidentemente, la scarsa disponibilità finora manifestata dalle scuole a candidarsi per l'attuazione delle sperimentazioni, su cui certamente influisce anche il livello troppo scarno delle informazioni fin qui rese alle istituzioni scolastiche; è, dunque, un rinvio opportuno, che l'Amministrazione dovrà assolutamente utilizzare per recuperare un più soddisfacente livello di comunicazione come presupposto indispensabile, se intende favorire una fattiva adesione, da parte delle scuole, alle iniziative proposte.
Un successivo incontro del "tavolo tecnico" è previsto per il prossimo 11 gennaio.
Per la CISL Scuola si confermano le valutazioni espresse nell'incontro col Ministro del 18 novembre:
è positivo che su questioni delicate e complesse come la valutazione e la premialità si abbandonino esasperate e strumentali campagne mediatiche e che il confronto avvenga su proposte chiare e ben individuabili;
è positivo che la verifica delle proposte elaborate sia condotta "sul campo", e non in modo astrattamente ideologico, attraverso il diretto coinvolgimento delle scuole e il protagonismo professionale che in esse si esprime.
E' evidente che ambedue i modelli presentati, sicuramente espressione di un differente approccio al tema e di una diversa finalizzazione delle procedure, presentano limiti ed elementi di criticità che tuttavia, proprio per quanto detto in precedenza, potranno essere evidenziati e valutati nella loro effettiva consistenza proprio attraverso la diretta applicazione da parte delle scuole che vorranno assumerne la sperimentazione.
Una sperimentazione, quindi, che è opportuno liberare quanto più possibile da giudizi precostituiti. Anche la sua dimensione fortemente circoscritta, e la limitatissima quota di risorse ad essa destinata, tolgono peso ad un atteggiamento di preconcetta ostilità e inducono a riconoscere, anche in questa situazione, la libera potestà delle scuole, puntando su di esse e valorizzando la loro autonomia di decisione e di valutazione.
Sotto un profilo più strettamente sindacale, la CISL Scuola ritiene che il protagonismo delle scuole, da esercitarsi in assoluta libertà e senza alcuna forma di condizionamento, si ponga su una linea di forte consonanza con la richiesta di mantenere i temi della valutazione, del merito e della premialità nell'ambito delle materie negoziabili e non in quello degli interventi di tipo legislativo.
Resta assolutamente ferma, infine, per la CISL Scuola, la convinzione che per produrre migliori performance individuali e di sistema non sia sufficiente limitarsi a enfatizzare logiche di (impropria) concorrenzialità fra le scuole e fra i singoli docenti. Serve alle scuole una valutazione che aiuti anzitutto a verificare il livello di efficacia del servizio reso all'utenza e ad accrescerlo: solo in questo contesto può avere senso il doveroso riconoscimento di chi concorre in termini di miglior qualità e maggiore impegno a determinare il valore aggiunto che ogni scuola deve porsi come obiettivo.
Il voltafaccia di una ministra americana
di DIANE RAVITCH*
Sono entrata nell'amministrazione di George H.W. Bush in qualità di viceministro dell'educazione non avevo alcuna idea predefinita sulla questione della “libera scelta” in materia di educazione o su quella relativa alla responsabilizzazione degli insegnanti. Ma, nel momento in cui ho lasciato il governo, due anni più tardi, difendevo il principio della remunerazione del merito: ero convinta che gli insegnanti i cui allievi conseguivano i migliori risultati dovessero essere pagati meglio degli altri. Sostenevo inoltre la generalizzazione dei test valutativi, che mi sembravano utili per individuare le scuole che avevano bisogno di un aiuto supplementare. Ho quindi applaudito calorosamente quando, nel 2001, il Congresso votò una norma che andava in quel senso, la legge Nclb (“No child left behind”, nessun bambino lasciato indietro), e di nuovo quando, nel 2002, il presidente George W. Bush firmò la sua entrata in vigore. Oggi, osservando gli effetti concreti di queste politiche, ho cambiato opinione: penso infatti che la qualità dell'insegnamento che ricevono gli allievi prevalga sui problemi di gestione, organizzazione e di valutazione degli istituti. La legge Nclb esige che ogni stato valuti le capacità di lettura e di calcolo dei suoi allievi, dagli 8-9 anni ai 13 anni. I risultati di ogni istituto sono successivamente analizzati in funzione dell'origine etnica, del livello di conoscenza della lingua inglese, dell'eventuale presenza di handicap e del reddito dei genitori. Ognuno dei gruppi così formati deve conseguire un risultato del 100% di riuscita entro il 2014. Se in una scuola uno solo di questi gruppi non dimostra progressi costanti, l'istituto è sottoposto a sanzioni di severità crescente. Il primo anno la scuola riceve un avviso. Dopodiché a tutti gli allievi (compresi quelli che hanno buoni risultati) viene offerta la possibilità di cambiare scuola. Durante il terzo anno, gli studenti più poveri possono accedere a corsi supplementari gratuiti. Se la scuola non riesce a conseguire gli obiettivi richiesti in un periodo di cinque anni, si espone al rischio di privatizzazione, di conversione in charter school (si veda più avanti), di ristrutturazione completa o, più semplicemente, a quello di chiusura. I lavoratori potrebbero quindi essere licenziati. Attualmente, circa un terzo delle scuole pubbliche del paese (ovvero oltre trentamila) sono state classificate come inadempienti rispetto ai parametri relativi ai “progressi annuali soddisfacenti”. Un punto cruciale della legge consiste nell'avere lasciato a ciascuno stato la libertà di definire i propri metodi di valutazione. Il che induce alcuni di essi ad abbassare il livello di richieste per consentire agli allievi di conseguire più facilmente gli obiettivi. Di conseguenza, i miglioramenti manifestati a livello locale non si riscontrano sempre nei test federali. Il Congresso obbliga le scuole a sottoporre in modo aleatorio alcuni allievi a una valutazione nazionale, il National assessment of educational progress (Naep), in modo tale da poter confrontare i risultati ottenuti con quelli forniti dagli stati. Così, in Texas, dove ci si rallegra per quello che appare come un autentico miracolo pedagogico, i livelli di lettura ristagnano da dieci anni. Allo stesso modo, mentre il Tennessee quota al 90% la percentuale di allievi che hanno raggiunto gli obiettivi fissati per il 2007, la stima del Naep è 26 % si rivela meno lusinghiera. Diversi miliardi di dollari sono stati spesi per mettere a punto “e poi fare passare” le batterie di test necessarie a questi differenti sistemi di valutazione. In numerose scuole, gli insegnamenti ordinari si interrompono diversi mesi prima degli esami per lasciare spazio alla preparazione intensiva di questi. Numerosi specialisti hanno stabilito che gli allievi non imparano niente dato che gli si insegnano i test e non le materie scolastiche. Malgrado il tempo e il denaro investiti, i risultati del Naep non sono migliorati. Talvolta, essi si sono semplicemente bloccati. In matematica, i livelli erano addirittura migliori prima della applicazione della legge Nclb. Per la lettura, il livello sarebbe aumentato per l'equivalente del Cm1 (alunni di 10 anni ndt). Per gli alunni al termine del quarto anno di scuola secondaria (di 14 anni ndt) i risultati sono gli stessi di quelli del 1998. Tuttavia, il problema principale non sono i risultati in quanto tali, né i modi in cui gli stati e le città manipolano i test. La vera vittima di questo accanimento è la qualità dell'insegnamento. Dal momento che la lettura ed il calcolo sono diventati prioritari, i docenti, consapevoli che queste due materie decideranno dell'avvenire della loro scuole e del loro lavoro, trascurano le altre discipline. La storia, la letteratura, la geografia, le scienze, l'arte, le lingue straniere e l'educazione civica sono relegate al rango di materie secondarie. Da una quindicina di anni, un'altra tesi ha pungolato l'immaginazione delle potenti fondazioni e degli opulenti rappresentanti del padronato: la cosiddetta “libera scelta”, che si concretizza in particolare nelle charter schools la cui idea ha preso piede alla fine degli anni '80. Da allora, questi istituti hanno formato un vasto movimento che raccoglie un milione e mezzo di allievi e cinquemila scuole. Scuole finanziate con il denaro pubblico ma gestite come istituzioni private, che si possono sottrarre alla maggior parte delle regole in vigore nel sistema pubblico. Così, più del 95% di esse si rifiuta di assumere insegnanti sindacalizzati. E, nel momento in cui lo stato di New York ha voluto sottoporre a un esame le charter schools che aveva autorizzato, queste si sono rivolte alla giustizia per impedirlo: lo stato doveva dare loro fiducia e lasciare che fossero loro stesse a svolgere questo esame. Il livello di questi istituti è decisamente diseguale. Alcuni sono eccellenti, altri catastrofici. La maggior parte si colloca nel mezzo. Ne è stata fatta una sola valutazione su scala nazionale, condotta da Margaret Reymond, economista all'università di Stanford (1). Tale inchiesta, benché finanziata dalla Walton family foundation (accesa sostenitrice delle charter schools), rivela che solo il 17% di tali istituti presenta un livello superiore a quello delle scuole pubbliche di pari grado. Il restante 83% ottiene risultati simili o inferiori. Secondo gli esami della Naep in lettura e matematica, gli allievi delle charter schools ottengono gli stessi risultati degli altri, sia che ci si interessi agli afroamericani, agli ispanici, ai poveri o agli alunni residenti in grandi città. Ciò nonostante, il modello viene presentato come il rimedio miracoloso per tutti i problemi del sistema educativo statunitense. Non solo, ovviamente, per la destra, ma anche per un buon numero di democratici. Questi ultimi hanno addirittura creato un gruppo di pressione, i “Democratici per la riforma dell'educazione”. Alcune di queste charter schools sono dirette da soggetti con interessi privati, altre da associazioni non a fine di lucro. Il loro modello di funzionamento si fonda su un forte tasso di rinnovamento del personale, poiché gli insegnanti devono svolgere un lavoro enorme (talvolta sessanta o settanta ore alla settimana) e tenere sempre il cellulare acceso, così che i loro allievi possano raggiungerli in qualsiasi momento. L'assenza di sindacato facilita il mantenimento di tali condizioni di lavoro. Quando i media si interessano al tema, si focalizzano spesso sugli istituti di eccellenza. Essi, intenzionalmente o meno, danno alle charter schools l'immagine di veri e propri �paradisi” popolati da insegnanti giovani e dinamici e da allievi in uniforme, dalle maniere impeccabili e tutti in grado di accedere all'università. Ma questi reportages dimenticano alcuni elementi determinanti. Innanzitutto, gli istituti di buon livello reclutano i loro allievi nelle famiglie in grado di mobilitare maggiori risorse dal punto di vista scolastico. Inoltre, essi accettano un numero minore di alunni di madrelingua straniera, handicappati o senza domicilio fisso, fattore che d? loro un certo vantaggio sulle scuole pubbliche. Infine le charter schools hanno il diritto di rinviare negli istituti pubblici gli elementi che ?stonano?. Quando il movimento in favore delle charter schools ha preso avvio, esso si fondava sulla certezza che questi istituti sarebbero stati ideati ed animati da insegnanti coraggiosi e disinteressati, che sarebbero andati incontro agli allievi con maggiori difficoltà. Essi, liberi di innovare, avrebbero appreso i metodi per aiutare efficacemente questi alunni e la comunità avrebbe beneficiato delle conoscenze acquisite nel momento in cui essi li avrebbero reintegrati nel sistema pubblico. Ma attualmente le charter schools si pongono in concorrenza aperta con le scuole pubbliche. A Harlem, gli istituti pubblici devono lanciare campagne di comunicazione verso le famiglie. I bilanci di 500 dollari (o meno) che essi spendono per opuscoli e brochure impallidiscono di fronte ai 325.000 dollari stanziati dal potente gruppo che cerca di cacciarli dal settore educativo. Nel gennaio 2009, quando l'amministrazione Obama salì al potere, ero convinta che essa avrebbe annullato la legge Nclb per ripartire su basi sane. Si è verificato il contrario: il nuovo governo ha abbracciato le idee e le scelte più pericolose dell'era di George W. Bush. Il programma dell'amministrazione Obama, battezzato “Race to the top” (Corsa verso la vetta), offre a Stati presi per la gola dalla crisi economica sovvenzioni di 4,3 miliardi di dollari. Per beneficiare di questa manna, essi devono sopprimere tutte le limitazioni legali esistenti alla installazione di charter schools. Così, la loro espansione va a realizzare quello che è sempre stato il sogno dei businessmen dell'educazione e dei partigiani del libero mercato, vale a dire lo smantellamento del sistema pubblico. È assurdo valutare gli insegnanti in funzione dei risultati dei loro allievi, perché questi dipendono oltre che, ovviamente, da quello che succede in classe, anche da fattori esterni quali le risorse, la motivazione degli allievi e il supporto che possono dare loro i genitori. Tuttavia, gli insegnanti sembrano essere i soli responsabili. Quanto alla “trasformazione” delle scuole in difficoltà, si tratta di un eufemismo destinato a mascherare lo stesso tipo di misure di quelle imposte attraverso la legge Nclb. Se i risultati non progrediscono rapidamente, le scuole pubbliche saranno chiuse, privatizzate o trasformate in charter schools. Quando le autorità dello Stato di Rhode Island hanno annunciato l'intenzione di licenziare tutto il corpo docente dell'unico liceo della città di Central Falls, la loro decisione è stata applaudita da Arne Duncan (segretario di stato all'educazione) e dallo stesso presidente democratico. Recentemente, il personale è stato reintegrato, a condizione di accettare giornate lavorative più lunghe e di fornire maggiori aiuti personalizzati agli allievi. L'accento posto dall'amministrazione Obama sulla valutazione ha spinto gli stati a modificare la loro legislazione nella speranza di ottenere i fondi federali di cui hanno impellente bisogno. La Florida ha appena votato una legge che proibisce l'assunzione di insegnanti principianti, vincola la metà del loro salario ai risultati ottenuti dagli allievi, sopprime i finanziamenti stanziati per la formazione permanente e sovvenziona la valutazione degli studenti prelevando il 5% dal bilancio scolastico di ogni circoscrizione. Genitori e docenti hanno unito le loro forze e sono riusciti a convincere il governatore Charlie Crist a non firmare la legge, cosa che probabilmente ha messo fine alla sua carriera all'interno del Partito repubblicano. Ma ovunque nel paese vengono assunte misure simili.
note:
* Ricercatrice in scienze dell'educazione all'università di New York. Ha pubblicato “The Death and Life of the Great American School System: How Testing and Choice Are Undermining Education”, Basic Books, New York, 2010. Questo articolo è stato inizialmente pubblicato su The Nation (New York) del 14 giugno 2010, con il titolo “Why I changed my mind?.”
(1) “Multiple choice: Charter school performance in 16 states”, Center for research on education outcomes (Credo), Stanford University, giugno 2009. (Traduzione di Al. Ma.)
Mi dispiace dover intervenire in maniera cruda sulla questione valutazione e sulla relativa importanza da assegnare ai test INVALSI. Intervengo con lo stile che mi caratterizza, non deliberatamente polemico, ma convinto che in questo forum sia garantita la varietà di approcci (non credo che vi sia un modo "oggettivo" di esporre le proprie argomentazioni). Innanzitutto a me sembra che si stia per sottovalutare l'irrompente introduzione di particolari sistemi di valutazione che, indubbiamente, andranno a condizionare nell'immediato futuro un certo modo di fare didattica, se non si crea subito senza ambivalenze un fronte che contrasti tale deriva. Ho sempre creduto nel mio agire nella scuola (20 anni di esperienza, di cui 11 passati nell'affrontare delicate problematiche relative all'apprendimento di ragazzi meno fortunati) che innanzitutto dovesse essere posto al centro del nostro intervento pedagogico l'allievo con le sue molteplici sfumature che lo fanno unico rispetto a tanti suoi coetanei (per mia fortuna mi trovo a relazionare con persone e non con scarpe che devono raggiungere una qualità standard per compiacere il mercato). Il delicato ruolo istituzionale che la società ci assegna non ci deve mai far perdere di vista l'assoluta necessità di curare al meglio il nostro approccio non tanto sul piano della valutazione, ma soprattutto nella difficile relazione insegnamento/apprendimento. E, giusto per essere "pragmatici", permettendomi anch'io una semplificazione; non posso puntare a fare il tetto e immaginarmi tutte le possibili soluzioni tecniche se prima non ho predisposto un corretto lavoro di consolidamento delle basi. Scegliere di condurre nella mia metodologia didattica un modo particolare di valutare la "performance" con somministrazione di quiz, significherebbe per me allontanarmi abbondantemente dagli insegnamenti della pedagogia. Concordo con la domanda espressa da Franco Martino, perchè prestarsi a questa vergognosa operazione? Mi sorprende che Paolo provi a giustificare la sua posizione di "collaborazionista" con l'Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema di Istruzione e di Formazione con argomentazioni direi alquanto riduzioniste. Sono argomentazioni che mi spaventano ancora di più del suo "collaborare" con un Istituto che si inventa un modo "oggettivo" e nazionale di valutare (siamo giunti a tanto nel degrado culturale del nostro lavoro?), a sfregio di trattati interi di pedagogica che invitano a calarsi nelle singole situazioni prima di stigmatizare con un giudizio "oggettivo" la bontà e i livelli di apprendimento e/o prestazioni dei singoli ragazzi. L'obiettivo, non più tanto nascosto, ma ormai manifesto delle prove INVALSI è che attraverso esse si voglia misurare e valutare la performance dei docenti, non certamente per migliorare la qualità del servizio da loro offerto, e quindi anche a gerarchizzare il personale attraverso una divisione utilizzando appunto la valorizzazione delle “competenze professionali” e del “merito”, con l’erogazione dei premi per gli obiettivi raggiunti dai singoli e dalle strutture, che saranno con tutta probabilità aderenti agli standard fissati dai tanti saputelli invalsini. Serve inoltre anche in maniera più o meno velata a controllare il lavoro dei dipendenti con valutazioni di ogni prestazione, in un’ottica di incremento della produttività, cioè dei ritmi e delle prestazioni lavorative, ricompensato dall’erogazione di premi legati alla prestazione e non alla contrattazione nazionale. Ciò anche semplicemente sindacalmente argomentando. Paolo parla, per citare solo un esempio, di uno strumento che dovrebbe misurare (termometro-febbre). Non c'è esempio più calzante, fornito inconsapevolmente dallo stesso sostenitore, di quanto sia ormai invalsa e nefasta la credenza che sia sufficiente uno strumento ed un unico indicatore (la temperatura: non misura la quantità di calore, ma solo ci da indicazioni dello stato termico del corpo oggetto di studio e della velocità delle sue particelle; poi tutto il resto è determinato da altri fattori che non sono ininfluenti) che possa racchiudere e significare la complessità delle competenze, capacità, abilità cognitive, attitudini, inclinazioni culturali, condizionamenti sociali e background famigliari malgrado i desideri del bambino e degli educatori/adulti/professionisti della relazione pedagogica. Paolo parla inoltre della necessità di doversi attenere ad un sistema di rilevazioni nazionali, per quale motivo me lo deve spiegare!. Andiamo verso un unico pensiero convergente? Alla scuola è assegnato il compito di dare ad ogni cittadino le stesse opportunità di crescita culturale, istruzione e diritti sociali per affrontare i problemi della vita, difendere i propri diritti e conquistarne nuovi; assicurare inoltre che la cultura si sviluppi liberamente senza condizionamenti. Le prove INVALSI non garantiscono ciò, in quanto diverrebbe prioritario fissare prove "oggettive" a livello nazionale senza tener conto delle differenze presenti a più livelli; fra bambini, fra scuole, fra territori fra docenti...... Tutto ciò invece comporterebbe sicuramente un appiattimento dell'agire. Ebbene io dico che in realtà è proprio il caso di abbandonare il termometro e provare a garantire alla scuola le condizioni per meglio operare, senza prendere strane scorciatoie diagnostiche. Paolo parla appunto di diagnosi, ma sappiamo bene, continuando a seguire il suo esempio, quante volte la "febbre" risulti solo un sintomo con dietro una serie di patologie e/o semplicemente stati di disagio. Non è la semplice febbre registrata da uno strumento semplice di analisi, qual è il termometro, che ci può indicare la terapia da seguire. Infine come è stato rilevato da Antonella (genitrice che mi sembra abbia colto meglio il nostro compito istituzionale) non può lasciarci tranquilli il fatto che la signora Gelmini ha dichiarato che saranno proprio i risultati delle prove INVALSI a "sperimentare" l'introduzione del riconoscimento di premi per le scuole con performance migliori. Quindi oltre al danno prodotto dalla valutazione che condizionerà tutto il nostro agire a scuola ci tocca anche subire la beffa di vedere bistrattate le scuole che invece meriterebbero più investimenti per ridurre il gap, ammesso che si volesse accettare l'idea che è necessario sottoporsi a valutazione. Conclusioni: la pezza argomentativa di Paolo è peggio del buco. Essendo un docente di scienze naturali, do molta importanza al concetto di grandezza fisica e ai relativi sistemi di misura, ma ritengo che ci siano aspetti qualitativi difficilmente ponderabili che comunque mal si prestano ad un'unica misurazione. Per me quindi il termometro non è sufficiente per capire fenomeni complessi e lo stato di salute dell'individuo non è certamente solo assenza di "febbre", bensì è il risultato del suo equilibrio psichico, mentale e sociale. Per rilevare queste dimensioni ho bisogno di confrontarmi con altri colleghi per acquisire diversi punti di vista che insieme possono tracciare la personalità de* bambin*/ragazz* Io butterei il termometro!! Ciao, Michele
CIAO ANTONELLA, CORTESEMENTE METTI ANCHE I LINK CUI SI PUO' ATTINGERE, VISTO CHE L'INVALSI E LA MERITOCRAZIA SONO "STRETTAMENTE CONNESSI L'UNO ALL'ALTRO" COME "DUE INNAMMORATI"...? GRAZIE gabry P.S. SOTTO C'E' LA DIFFIDA CHE, A SUO TEMPO, FECERO I COBAS, E NE ELENCANO LE RAGIONI.
e. p. c. Alle RSU d’Istituto Ai componenti degli Organi Collegiali ____________________
____________________
Oggetto: rilevazione degli apprendimenti INVALSI 2010 - DIFFIDA.
Lo scrivente _________________ in nome dell’Organizzazione Sindacale COBAS - Comitati di Base della Scuola, in relazione all’oggetto espone quanto segue. Si è avuta notizia che nella Vostra Istituzione Scolastica sia stata prevista la partecipazione al progetto dell’INVALSI sulla rilevazione degli apprendimenti degli alunni e che siano state pianificate le prove in oggetto (per le classi seconde e quinte delle scuole elementari e classi prime delle scuole medie) secondo il calendario previsto dall’INVALSI, 6, 11 e 13 maggio 2010. Si è saputo, altresì, molti Collegi dei Docenti abbiano deliberato di NON ADERIRE al progetto INVALSI sulla rilevazione degli apprendimenti degli alunni ovvero non siano stati convocati per l’eventuale delibera di approvazione dello stesso progetto o la Presidenza (Dirigente Scolastico) non abbia, illegittimamente, consentito al Collegio di deliberare sull’argomento.
Molti dirigenti scolastici hanno comunicato alle/ai docenti (senza che si consentisse ai componenti dell’Organo Collegiale di intervenire sul punto) che si sarebbero assunti la responsabilità di aderire alle prove INVALSI. La scrivente Organizzazione Sindacale segnala che la vigente normativa non prevede alcuna obbligatorietà della partecipazione alle valutazioni nazionali INVALSI e che i Dirigenti Scolastici non hanno alcuna facoltà/potere di aderire alle stesse poiché tale decisione è nella esclusiva competenza del Collegio dei Docenti e nella disponibilità delle/dei singoli insegnanti di classe, i quali possono decidere di svolgerle o meno. Tale adesione da parte delle/degli insegnanti e del Collegio dei Docenti è prevista anche nel caso in cui la scuola venga indicata dall’INVALSI quale “scuola campione” poiché anche in tale eventualità non esiste alcuna norma che prevede la obbligatorietà della partecipazione delle scuole, delle classi, delle/dei singoli insegnanti alle stesse anche nel caso in cui le prove fossero organizzate con l’intervento di somministratori esterni. Si vedano, a tale riguardo, l’articolo 4, comma 4 del DPR n° 275/1999 (Regolamento Autonomia) e l’articolo 7, comma 2 del D.L.vo n° 297/1994 (Testo Unico Istruzione) nei quali sono chiaramente previsti i poteri del Collegio dei Docenti (si allegano alla presente nota i due commi citati). Si noti, a tale riguardo, che il Dirigente Scolastico deve, invece, esercitare i propri poteri (tra i quali non rientra l’adesione ad attività di valutazione senza il voto favorevole del Collegio) nel rispetto delle competenze degli Organi Collegiali (comma 2, art 25 del D.L.vo n° 165/2001). Nel corrente anno scolastico nulla è stato innovato e, allo stato, non esiste alcuna norma che preveda l’obbligatorietà della somministrazione delle prove INVALSI nelle scuole italiane. L’unica indicazione in tal senso è inserita nella circolare del MIUR n° 86, del 22 ottobre 2009, con la quale il dott. Mario G. Dutto, della Direzione Generale per gli ordinamenti scolastici per l’autonomia scolastica, afferma tra l’altro che: “La valutazione riguarderà obbligatoriamente tutti gli studenti delle predette classi delle istituzioni scolastiche, statali, e paritarie, del primo ciclo di istruzione.”. Pare chiaro che quanto affermato dal dott. Dutto non può innovare il quadro normativo poiché (non essendo lo stesso fonte del diritto) le norme vigenti NON PREVEDONO L’AFFERMATA OBBLIGATORIETA’ ma anzi indicano che su tale materia l’unico titolato a decidere sia il Collegio dei Docenti e le/gli insegnanti delle singole classi. * * * Tutto ciò evidenziato e premesso, si DIFFIDANO i Dirigenti Scolastici, in assenza della delibera dei Collegi dei Docenti e della disponibilità delle/degli insegnanti delle classi coinvolte, dall’organizzare le prove di valutazione INVALSI e si chiede che venga comunicata alla stessa Agenzia la non partecipazione alle stesse. Si segnala che gli atti unilaterali dei Dirigenti Scolastici sulla materia in oggetto non possono avere alcun carattere imperativo per il personale docente il quale non è tenuto (vedasi anche l’articolo 33 della Costituzione della Repubblica Italiana sulla libertà di insegnamento) in alcun modo a partecipare direttamente alla somministrazione delle prove INVALSI, né a collaborare all’eventuale organizzazione delle stesse ed, infine, si ricorda che ciascun docente ha facoltà, nelle proprie ore di lezione, di decidere quali attività debbano essere svolte (sulla base del POF d’Istituto e della programmazione annuale e settimanale) senza che chicchessia possa imporre altre attività prive dell’adesione dell’insegnante e della delibera del Collegio dei Docenti. Tanto si segnala per gli urgenti adempimenti di competenza e si coglie l’occasione per porgere cordiali saluti. ________, __ Per l’Esecutivo COBAS - Comitati di Base della Scuola
___________________________
DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 8 marzo 1999 n. 275 Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche
…omissis… articolo 4 …omissis…
4. Nell'esercizio della autonomia didattica le istituzioni scolastiche assicurano comunque la realizzazione di iniziative di recupero e sostegno, di continuità e di orientamento scolastico e professionale, coordinandosi con le iniziative eventualmente assunte dagli enti locali in materia di interventi integrati a norma dell'articolo 139, comma 2, lett. b) del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112. Individuano inoltre le modalità e i criteri di valutazione degli alunni nel rispetto della normativa nazionale ed i criteri per la valutazione periodica dei risultati conseguiti dalle istituzioni scolastiche rispetto agli obiettivi prefissati.
DECRETO LEGISLATIVO 16 aprile 1994, n. 297 Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione
Art. 7 - Collegio dei docenti
…omissis…
2. Il collegio dei docenti: a) ha potere deliberante in materia di funzionamento didattico del circolo o dell'istituto. In particolare cura la programmazione dell'azione educativa anche al fine di adeguare, nell'ambito degli ordinamenti della scuola stabiliti dallo Stato, i programmi di insegnamento alle specifiche esigenze ambientali e di favorire il coordinamento interdisciplinare. Esso esercita tale potere nel rispetto della libertà di insegnamento garantita a ciascun docente; …omissis… d) valuta periodicamente l'andamento complessivo dell'azione didattica per verificarne l'efficacia in rapporto agli orientamenti e agli obiettivi programmati, proponendo, ove necessario, opportune misure per il miglioramento dell'attività scolastica;
…omissis…
f) adotta o promuove nell'ambito delle proprie competenze iniziative di sperimentazione in conformità degli articoli 276 e seguenti; …omissis… r) si pronuncia su ogni altro argomento attribuito dal presente testo unico, dalle leggi e dai regolamenti, alla sua competenza.
Oggetto: R: [retescuole] Ogg: Re: Di nuovo Invalsi
Domande senza aggettivi per chi collabora con INVALSI e ne sa più di me :
1. perché facciamo prove standard avendo programmi quanto mai vaghi e
ogni scuola si fa il suo?
2. perché non abbiamo percorsi ben definiti dalle Alpi alla Sicilia con
step uguali per tutti e POI su questi facciamo prove standard?
3. perché la scuola dovrebbe migliorare con le prove INVALSI e stop se
poi manca totalmente una valutazione di sistema che dica come e dove
intervenire? ( ah già, dimenticavo, queste sono baggianate da scuola
centralizzata, orrore!!! Noi che siamo più furbi abbiamo l’autonomia e
ognuno se lo deve dire da solo, tanto abbiamo un sacco di tempo a
disposizione, è la nostra funzione docente e anche dirigente, nonché
ispettiva , anzi direi ministeriale, ecco perché i programmi sono così
vaghi, siamo tutte le parti in commedia, noi.)
4. perché altrove queste cose hanno un senso e qui no?
5. perché l’INVALSI le prove non se le corregge da solo?
6. perché salta fuori l’inglese scolastico?
7. perché non facciamo l’INVALSI anche con l’inglese?
8. perché non formiamo gli insegnanti in modo serio e uniforme? (vedi
Germania per esempio) magari poi anche la didattica avrebbe dei bei
miglioramenti, e basi comuni su cui INVALSARE …oddio, ma noi navigatori e
poeti e santi abbiamo in uggia le cose serie…
Best
donata
_____
Oggetto: Re: [retescuole] Ogg: Re: Di nuovo Invalsi
their own distinctive style and blue prom dresses form of unique dresses for lace sleeve wedding dress their brides. These dresses are designed to represent eastern women to the greatest extent. If youd like to have a wedding ceremony in the church, it is necessary to get an discount bridesmaid dresses appropriate modest wedding dress.Brides usually have great expectations of bridesmaids, then how to be a great bridesmaid. . Give honest suggestions when brides select their unique wedding dresses, and offer them do hair and makeup on the wedding day. chiffon wedding dresses . Decorate the outdoor reception venue in hot weather without complaint, and record gifts at your bridal party. Run out to pick up last minute items matched your custom bridal gowns on the wedding day. Offer your mom special attention at the wedding and give you a shoulder short white dresses .
Sometimes, merit and demerit goods are simply seen as an extension of the idea of externalities. A merit good may be described as a good that has positive externalities associated with it. Thus, an inoculation against a contagious disease may be seen as a merit good. This is because others who may not now catch the disease from the inoculated person also benefit. Thanks. Regards, audio transcription services
De: sharon199 Fecha: Terça 16 Abril 2013 - 11:42
Very nice post. I just stumbled upon your weblog and wished to say that I have truly enjoyed surfing around your blog posts. After all I’ll be subscribing to your rss feed and I hope you write again soon! geometry proof help
cheap prom dress cheap prom dress quick wedding reception wedding reception