Pubblicato da comitatonogelmini su 14 ottobre 2013
di Marina Boscaino
da globalist
14 ottobre 2013
La fitta comunità di informazione solidale, costituita dai tanti gruppi Fb che si sono formati grazie al lavoro di amministratori seri e intelligenti, rivela una esternazione del ministro Carrozza che sorprende per il candore con cui esprime la propria stessa sorpresa.
“TUTTI devono leggere questo rapporto. Sto studiando il rapporto PIAAC-OECD. Vorrei che il rapporto venisse letto da tutte le componenti del mondo dell’istruzione e della cultura: si tratta di un risultato sconvolgente che ci deve spronare a lavorare seriamente sulla formazione dei giovani e degli adulti. Nella sintesi del rapporto l’Italia è menzionata più volte e mai positivamente. Rispetto ai nostri omologhi giapponesi o finlandesi abbiamo risultati negativi. Occorre una reazione da parte del mondo della politica e non solo: dobbiamo fare dell’istruzione e della formazione il pilastro della nostra politica economica, con coraggio riformatore, dobbiamo chiedere maggiori risorse ma dobbiamo anche cambiare la nostra scuola”, ha postato il ministro sulla sua pagina Fb.
E dov’è la novità? Soprattutto, dov’è la sorpresa? Il rapporto (Piaac, Programme for the International Assessment of Adult Competencies) cui il ministro fa riferimento, analizza la condizione del nostro Paese dal punto di vista delle competenze linguistiche e matematiche della popolazione adulta (16-65 anni): competenze per vivere e per lavorare. In entrambi i casi, l’Italia totalizza risultati scarsissimi, che la collocano rispettivamente in ultima e penultima posizione nella classifica internazionale.
Lo sconvolgimento di Carrozza è sconvolgente. Verrebbe da chiedersi in quale mondo vivesse quando – a partire dal 2008, annus horribilis dell’inizio concomitante di crisi e “riforma” Gelmini – partendo da livelli già decisamente inferiori a quelli di molti paesi avanzati, qui da noi si abbatteva di ulteriori 2 punti (dal 10 all’8%) la spesa per istruzione. Durante la crisi 24 Paesi su 31 hanno aumentato la spesa per istruzione in percentuale al Pil. L’Italia, viceversa, rientra nel gruppo esiguo di nazioni che hanno tagliato e anche drasticamente.
Il Piaac evidenzia altri elementi, già conosciuti ampiamente prima che l’Isfol procedesse a raccogliere e pubblicare i dati del rapporto: che le competenze dei giovani (pur essendo inferiori a quelle dei pari età di molti paesi) sono sempre più alte di quelle del resto della popolazione. Che la condizione dei Neet è drammatica; che le donne sono mediamente più competenti degli uomini; che il livello di competenza è strettamente legato alle condizioni socio-economiche. Sorpresi? Credo di no.
Decretato il fallimento del Long Life Learning (sono decenni che Tullio De Mauro ci ammonisce sulla situazione italiana), l’educazione e l’apprendimento per tutto l’arco della vita, che i paesi dovrebbero sostenere per i propri cittadini (è stato uno degli obiettivi di Lisbona, e ora della strategia UE); appurato che la “cura da cavallo” di Gelmini-Tremonti ai danni della scuola, ubbidientemente proseguita con Monti ed ora non ostacolata dal governo delle larghe intese, ha dato i propri frutti, ci troviamo davanti ad un bivio.
O invertire drasticamente le politiche scolastiche e interiorizzare un’idea di scuola realmente al centro dell’impegno dei governi, e non solo come buon proposito da campagna elettorale; o continuare mediatiche strategie di annunci (“sconvolgimenti” ministeriali inclusi), che fanno della demagogia 2.0 l’unica, ridicola e risibile, strategia con cui affrontare la drammatica emergenza culturale in cui ci dibattiamo. Per i fan dell’efficientismo mercantilista, per coloro che per anni hanno sottovalutato il valore in sé di cultura, istruzione e educazione, questi numeri corrispondono a costi estremamente consistenti, sia immediati che a lungo termine, ai danni della collettività.
Per sanare questa situazione non occorrono Lim o registri elettronici. Soprattutto, occorrono soluzioni che vadano ad incidere, più o meno esclusivamente, data l’emergenza, sui destini degli ultimi, che sono tantissimi (“Si parte dagli ultimi”, ha detto don Ciotti durante la manifestazione del 12 ottobre in difesa della Costituzione).
Per quanto riguarda la scuola, i dati fanno riflettere non solo sulle capacità dei docenti di insegnare e degli studenti di apprendere; ma – soprattutto – sulla capacità di chi ci ha governato di incidere, attraverso l’azione politica ed amministrativa, tenendo ferma la barra sulla stella polare dell’interesse generale, sulla qualità della nostra scuola. La valutazione che ne emerge è estremamente negativa. Ma, ancora una volta, non c’era bisogno di questi numeri per rendersene conto. È ora, però, che i fan della valutazione, gli esegeti di rabberciati relativi sistemi nazionali, i cantori dell’Invalsi, del merito, della premialità comprendano una cosa: i primi ad essere valutati (da noi docenti, da tutti gli studenti, dai cittadini) sono e saranno loro, politici ed amministratori. Anche per questo la risposta all’alternativa deve essere rapida e priva di incertezze: l’impressione è che non si possa perdere più tempo.
E noi non siamo più disponibili a fare da capro espiatorio delle inadempienze e dei progetti fallimentari altrui.
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