Casa delle Arti e del Gioco
Il primo numero del nuovo anno ci porta una bella novità:
il libro fresco di stampa MARIO LODI maestro
-a cura di Carla Ida Salviati (Giunti)-
con pagine scelte dal celebre "C'è speranza se questo accade al Vho".
Un libro prezioso che disegna la scuola della democrazia
e della Costituzione. Un'altra scuola, una scuola possibile.
Luciana Bertinato
A cura di Carla Ida Salviati
MARIO LODI MAESTRO.
Con pagine scelte da C’è speranza se questo accade al Vho.
Giunti Editore
Firenze, 2011
Il maestro compie gli anni. Il 17 febbraio, anche se Mario lo dice sottovoce, perché per lui, che va verso i novanta, il tempo è forse un grande fiume nel quale continua a navigare lento, pieno di ricordi, ma anche di progetti.
Per il compleanno in questo 2011 la sua vita e la sua esperienza regalano, a tutti noi, un bellissimo libro.
Ci sono molte sue foto a scuola: ha insegnato dal 1948 – prima a S.Giovanni in Croce, poi al Vho di Piadena – fino al 1978. Le istantanee scattate in ambiente scolastico lo vedono sempre in mezzo ai suoi ragazzi, seduto a fianco di un bambino mentre lo aiuta nei compiti, in piedi mentre suona il mandolino coi ragazzi che cantano, mai di fronte o, peggio ancora, più in alto degli alunni, sempre alla loro stessa altezza.
Del resto, non era stato proprio Célestin Freinet, alla cui esperienza si rifece quel Movimento di Cooperazione Educativa che Mario incontrò all’inizio degli anni Cinquanta, a smantellare la cattedra per fornire legna alla stufa che doveva riscaldare la sua classe?
Curato - benissimo - da Carla Ida Salviati, studiosa di letteratura ed editoria per la gioventù e direttrice de “La vita scolastica” e di “Scuola dell’infanzia”, il volume raccoglie una scelta di pagine da C’è speranza se questo accade al Vho, il “diario didattico” che il maestro scrisse sui suoi primi anni di insegnamento, pubblicato in origine nel 1963 nella collana “Il Gallo Grande” delle Edizioni Avanti!, di Milano e poi, nel 1972, nella Piccola Biblioteca Einaudi.
A rileggere l’introduzione della edizione einaudiana colpiscono, per una attualità mai venuta meno, le sue parole, quando racconta che:
“Queste pagine di diario descrivono (…) i tentativi di realizzare operativamente, vivendoli socialmente a scuola, alcuni principi alternativi a quelli della scuola autoritaria di classe:
le attività motivate dall’interesse invece che dal voto,
la collaborazione al posto della competizione,
il ricupero invece della selezione,
l’atteggiamento critico invece della ricezione passiva,
la norma che nasce dal basso come esigenza comunitaria invece dell’imposizione della disciplina fondata sul timore”.
Già gli avverbi fanno pensare: “operativamente”, in una scuola che è sempre troppo spesso astratta e teorica; “socialmente”, in ambienti che mirano alla gratificazione individuale, magari a scapito di coloro che non hanno la stessa velocità di apprendimento (e di integrazione ai modelli dominanti).
In quanto ai principi dichiarati, se li mettessimo nella lavagna dei “buoni” e dei “cattivi”, potremmo scoprire, anche con un pizzico di angoscia, che oggi dalla parte del “bene” (sia negli intenti dei provvedimenti ministeriali che nel senso comune che si è andato affermando) stanno il voto, la competizione, la selezione, la ricezione passiva, l’imposizione della disciplina.
La tentazione, in questi casi, è spesso quella di incasellare esperienze come quelle di Mario in un museo del passato, magari apprezzabile ma inesorabilmente superato dallo spirito del tempo, accanto ad altre figure di volonterosi utopisti.
E invece no, perché C’è speranza (e il successivo Il paese sbagliato) è ancor oggi la dimostrazione della applicazione pratica, quotidiana, misurabile e, perché no, riproducibile, dei principi dichiarati nella introduzione. Si tratta, a ben vedere, di una “scienza didattica” che pone le sue basi sull’attenta osservazione degli alunni e dei loro bisogni, sulla sperimentazione della scrittura collettiva (fino alla composizione poetica), sulla destrutturazione persino architettonica e logistica degli spazi scolastici, sull’affidarsi alle infinite risorse che lo scambio incessante di apprendimento reciproco fra alunni e maestro può fornire.
Si legga, ad esempio, il bellissimo capitolo in cui si racconta “Come è la nata la favola vera di Cipì” (libro pubblicato nel 1961, arrivato alla ventiduesima ristampa e tradotto in moltissime lingue). Partendo da quello che altri avrebbero considerato un deleterio momento di distrazione – i ragazzi che anziché ascoltare la lezione stavano ad osservare un gatto che avanzava cautamente sul tetto di fronte – il maestro indirizza quell’esperienza verso l’elaborazione di un testo. Forse il gatto è a caccia di topi. Ma sul tetto ci sono anche e soprattutto gli uccellini. Ed ecco un passero che fa un nido. E un libro meraviglioso prende forma, con mesi di lavoro di tutti.
Si può fare, ancora? Un’altra scuola è possibile? Tutta l’esperienza di Mario Lodi (e di altri, che nel libro vengono ricordati, come Luisa Bigiaretti o Bruno Ciari) lo sta a confermare.
Completano il volume, oltre alla sezione fotografica, una intervista inedita a Mario, nella quale egli richiama alcuni dei punti cardine della sua esperienza, a partire dall’incontro con don Lorenzo Milani e con il MCE; una nota biografica e una accuratissima bibliografia delle sue opere.
E, naturalmente, detto ad alta voce e con tutto l’entusiasmo e i ringraziamenti del caso:
Buon Compleanno!
Carlo RIDOLFI
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