Il MIUR aveva promosso nel gennaio 2011 una progetto denominato "Valorizza"per sperimentarela valutazione dei docenti premiando i "meritevoli". Sono state coinvolte 33 scuole, per un totale di 905 docenti (il numero di coloro che hanno aderito volontariamente) di Piemonte, Lombardia e Campania. Il 31 maggio si è conclusa la gara con la pubblicazione dei "vincitori": ai 276 docenti (non dovevano superare il 30% dei volontari) selezionati per i propri "meriti" è stata assegnata una mensilità lorda. La modalità di selezione dei fortunati si è basata su tre elementi: a) l'autovalutazione(i docenti dovevano rispondere a domande del tipo: "faccio in modo che gli alunni si comportino educatamente?" autoassegnandosi un punteggio da 1 a 7 e allo stesso tempo cercando di non ridere); b) l'apprezzamento all'interno della scuolamisurato dal nucleo di valutazione(composto dal Dirigente scolastico e da due docenti eletti dal Collegio docenti) tenuto a rispondere a domande del tipo "il docente promuove l'innovazione nell'insegnamento e nella scuola?" e assegnando anche in questo caso punteggi da 1 a 7; c) l'apprezzamento dell'utenza: genitori e studenti hanno ricevuto una scheda su cui potevano scrivere da uno a tre nomi di docenti a vario titolo "meritevoli" e poi infilare anonimamente la scheda in un'urna. La graduatoria generale è stata costruita sommando i tre punteggi. Come si ricorderà la sperimentazione è stata rifiutata in massa dalle scuole, tanto da costringere il MIUR ad allargare progressivamente le aree geografiche di sperimentazione (originariamente dovevano essere solo Torino e Napoli). Tutta la documentazione si trova sulla pagina: www.forumscuole.it/rete-scuole/buoni-o-cattivi Gelmini: «Insegnanti per merito e con piani triennali»lettera del ministro Gelmini24/07/2011 Corriere della sera Caro Direttore, puntualmente si riapre, come ogni anno, la polemica sul precariato nella scuola: da una parte le proteste sui punteggi, sul trasferimento di aspiranti insegnanti in fuga da graduatorie super affollate del Sud e dall’altra una sterile polemica basata sulla necessità di aprire in modo indiscriminato i percorsi di laurea per diventare insegnanti o per conseguire l’abilitazione all’insegnamento. Come si sono formate negli anni graduatorie di insegnanti abilitati ed in attesa di posti che non sono e non potranno essere mai in un numero sufficiente? Proprio attraverso concorsi che per migliaia di insegnanti, che non entravano nel numero dei posti programmati e messi a concorso, valevano comunque l’abilitazione. In questo modo si sono formate graduatorie di oltre 240.000 precari, alcuni dei quali sono in attesa da anni di entrare in ruolo. Con il piano di assunzioni varato dal governo abbiamo dato una risposta importante a queste lunghe attese ed una consistente sforbiciata alle graduatorie, assumendo oltre 67.000 unità tra insegnanti e personale amministrativo. Ma il problema ha ancora dimensioni gigantesche: resteranno nelle graduatorie oltre 200.000 insegnanti abilitati. Dopo aver coperto tutti i posti disponibili fino ad oggi con il piano di assunzioni appena varato, nei prossimi anni gli unici posti disponibili saranno quindi quelli derivanti dai pensionamenti. Il sistema informativo del ministero e gli uffici di statistica calcolano che mediamente, in base all’età e all’anzianità di servizio, andranno in pensione, a seconda degli anni, dai 22.000 ai 25.000 insegnanti. Se calcoliamo per i prossimi anni il rapporto tra i posti che saranno disponibili ed il numero degli insegnanti già abilitati, il saldo resterà a lungo passivo per tutti i livelli scolastici. La domanda quindi è: abbiamo bisogno di creare nuovi abilitati? Evidentemente no, visti i numeri. Dobbiamo alimentare nei giovani false speranze, creare nuovamente una fabbrica di illusioni pensando che comunque nella scuola con qualche sanatoria si riuscirà prima o poi ad entrare? Anche in questo caso l’unica risposta responsabile è quella che abbiamo dato con il nuovo percorso di studi per diventare insegnanti che si fonda appunto su un numero chiuso, programmato proprio sulla base dei posti disponibili. Posti solo in base alle reali necessità della scuola italiana. Fine del precariato a vita. Gli studenti che oggi fanno la scelta dell’insegnamento devono prima di tutto sapere quale è il fabbisogno di posti al momento in cui termineranno gli studi e quindi poter valutare in maniera realistica la speranza di ottenere un’occupazione nella scuola. Lo Stato non può più creare artificialmente posti di lavoro che non esistono, come ha fatto irresponsabilmente per decenni. Non corrisponde a verità l’accusa secondo la quale i provvedimenti del ministero penalizzerebbero i giovani a favore dei più anziani che attendono di essere assunti nelle graduatorie. Una gran parte infatti dei posti disponibili sarà data ai giovani, garantendo loro una concreta chance per accedere all’insegnamento. Quello che non farò mai però è prendere in giro i ragazzi. Questo non è un esecutivo irresponsabile e non vuole alimentare quel meccanismo che ha portato a generare il fenomeno del precariato nella scuola. Offriremo dunque una concreta possibilità ad una generazione di giovani aspiranti insegnanti di entrare in ruolo. Tutto ciò sarà fatto solo all’interno dei posti disponibili e di cui la scuola ha veramente bisogno. In ogni caso, la concreta opportunità di entrare in ruolo dipenderà esclusivamente dalla possibilità di bandire procedure concorsuali basate sul merito. Questa è appunto la nuova disciplina di reclutamento a cui sto lavorando. Non è quindi solo con la determinazione dei numeri del TFA che si dà una seria risposta alle giovani generazioni. Per rilanciare la scuola italiana e renderla moderna è necessario un sistema organico di misure, in parte già attuate, come la riforma degli ordinamenti, il piano triennale di assunzioni, la nuova disciplina della formazione iniziale e altre da approvare, come il nuovo reclutamento che sarà realizzato solo su base meritocratica. Mariastella Gelmini ministro all’Istruzione, Università e Ricerca Da questa sperimentazione sicuramente il MIUR ha tratto un insegnamento: è più furbo nascondere sino all'ultimo le modalità concrete di valutazione. Perché appena si scende nei dettagli anche i docenti astrattamente favorevoli al "merito" trovano qualcosa da ridire. Questa strategia è evidente leggendo il il DPCM del 26 gennaio 2011pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 20 maggio 2011(http://www.forumscuole.it/rete-scuole/buoni-o-cattivi/DPCM_26_01_2011.pdf) che intende avviare il sistema premiale nella scuola che la sperimentazione "Valorizza" intendeva testare. Invano nel testo troveremo indicazioni tecniche sulle modalità di misurazione del "merito". Da questo punto di vista si tratta di un decreto molto insidioso, perché permette ad una fetta di docenti di "sperare" che il sistema sarà in qualche modo "ragionevole". Probabilmente per questa ragione nel Decreto non si fa alcun cenno di alcuni elementi fortemente criticati dai docenti nella sperimentazione "Valorizza": l'autovalutazione e il coinvolgimento dell'utenza. Ricordiamoci comunque che il DPCM si basa sul Decreto Brunetta(Decreto Legislativo 27 ottobre 2009 n.150 che introduce criteri di differenziazione meritocratica in tutto il pubblico impiego) che prevede che ai fini della valutazione valgono anche "la rilevazione del grado di soddisfazione dei destinatari delle attività e dei servizi anche attraverso modalità interattive" (art.8 comma 1 lettera c). Il DPCM descrive piuttosto genericamente un "ciclo di gestione della performance" che intende misurare, valutaree infine premiaree incentivaresia in termini pecuniariche di carrierala "performance" del personale della scuola. Gli obiettivi da raggiungere vengono stabiliti ad inizio anno scolastico. L'ambito di misurazione e valutazione delle "performance" è legato "al grado di raggiungimento degli specifici obiettivi e alla qualità e quantità del contributo della performance individuale all'istituzione scolastica di appartenenza, alle competenze dimostrate ed ai comportamenti professionali e relazionali". Alla fine del ciclo, si suppone a fine anno scolastico, la totalità delle informazioni deve essere pubblicatasul sito della scuola, dove appariranno dunque i nominativi di tutti i docenti, se sono stati "premiati" o no, e quanto e perché sono stati premiati. Nel caso non venga attuata questa "trasparenza" al Dirigente è preclusa l'erogazione delle retribuzioni di risultato. Il ciclo si ripete ad ogni anno scolastico. Il Decreto così com'è non è immediatamente operativo. Si deduce dal testo che mancano almeno due passaggi. Il MIUR deve stabilire "le fasi, i tempi, le modalità, i soggetti e le responsabilità del processo di misurazione e valutazione della performance" con un "apposito provvedimento"(è lì che si troveranno le indicazioni concrete). In secondo luogo le risorse destinate al sistema premiale sono "a tal fine destinate dalla contrattazione collettiva integrativa". Quindi per passare ai fatti c'è bisogno anche dell'assenso dei sindacati(o di alcuni...). L'erogazione dei premi dovrà essere basata da parte delle scuole solo sui fondidestinati dal MIUR a questo scopo e dunque non potranno gravare sui loro bilanci. A loro volta questi fondi secondo il Decreto Brunetta non potranno gravare sul bilancio del MIUR che potrà ricavarli esclusivamente da "risparmi". Il DPCM si preoccupa implicitamente di controbattere la critica che da più parti si era levata contro la sperimentazione "Valorizza": che i premi favorissero le scuole con una utenza più "pregiata" approfondendo il solco tra scuole di serie A e di serie B. Ma sul decreto c'è esplicitamente scritto che i premi tengono conto "dei risultati di apprendimento declinati nelle indicazioni di carattere nazionale" (leggi: Invalsi), ma anche "del contesto di riferimento socio-culturale nel quale l'istituzione scolastica opera, nonché del Piano dell'offerta formativa di ciascuna istituzione scolastica". Nel DPCM dunque molto è generico, per questo ciò che scritto in modo preciso e inaggirabile è da ritenersi molto significativo. E' esplicitamente vietata "la distribuzione in maniera indifferenziata o sulla base di automatismi di incentivi e premi collegati alla performance".Se non si rispetta questo criterio (e gli altri) i fondi non verranno erogati. I premi saranno assegnati "ad una fascia di insegnanti che non potrà comunque superare il 75 per cento" e al suo interno "articolata secondo criteri meritocratici" (cioé non in maniera indifferenziata). Le scuole che violano queste disposizioni non avranno accesso ai fondi. Ciò che al MIUR preme è dunque la differenziazione.Il come, in fondo, non ha tutta questa importanza. Se il MIUR trovasse una formula che andasse bene ai più la adotterebbe senz'altro. Come scriveva il gruppo di sperimentazione del merito dopo la prima ondata di proteste "nessun sistema di valutazione è perfetto", ma l'importante è introdurre il principio della valorizzazione del merito. E' dunque possibile che il regolamento lascerà alle scuole un certo margine per decidere "metodi e strumenti idonei a misurare, valutare e premiare la performance del personale" (a patto che le scuole differenzino individuamente le "performance") in modo da spostare verso il "basso" eventuali contestazioni. Perché si danno tutto questo gran daffare per differenziare i docenti? Come dice il Presidente della Fondazione TreeLLLeche ha partecipato alla sperimentazione "Valorizza" (Corriere delle Sera 21/10/2008) e che è legata a Confindustria, "nessun modello di valutazione sarà mai perfetto: bisognerà saggiamente scegliere il meno imperfetto avendo chiaro che il più iniquo e il meno efficace è l'attuale egualitarismo inflitto a un popolo di quasi un milione di operatori". Le modalità saranno flessibili, ma il nemico è chiaramente individuato: l'"egualitarismo" del mondo scolastico. Questo DPCM è una sfida per noi docenti impegnati nella difesa della scuola pubblica e nel suo costante miglioramento. Nel contestarlo non possiamo più appellarci ad argomentazioni secondarie: dobbiamo andare a fondo, toccare con coraggio la natura profonda del nostro lavoro. La genericità del decreto, e la contestuale chiarezza del suo obiettivo, ci impongono di chiarire cosa davvero vogliamo difendere. E allora si deve dire in maniera chiara che l'egualitarismo nella scuola è buono e giusto, ed anzi ne vogliamo di più. Si deve ricominciare a dire che la retorica sull'"innovazione" (che ha sostituito la precedente moda confindustriale della "qualità") è una sciocchezza. Per mettere in piedi una strategia didattica che dia risultati occorre una pratica di lavoro collettivo, orizzontale. E per far questo occorre "costruire", e la costruzione ingloba eventualmente l'"innovazione", ma a volte anche la "conservazione", se funziona. Un singolo insegnante può essere le mille meraviglie di questo mondo, ma se è inserito in un consiglio di classe che non funziona, dove non c'è scambio, solidarietà, abitudine al lavoro comune, obiettivi e pratiche condivise, i ragazzi saranno allo sbando. E la situazione non migliorerà di certo se a quell'insegnante "meritevole" si regalerà una mensilità in più. Premiare i più "meritevoli" (ammesso e non concesso che ciò sia possibile) non solo non migliora la qualità della scuola, la mina nel profondo, perché aumenta le divisioni, incrina il gruppo, individualizza e distrugge. E' l'opposto di una "costruzione" lenta e faticosa di una rete educativa. Retescuole |