Istruzione, bene comune: la madre di tutte le battaglie.Lettera aperta al centrosinistra che verrà. Metà giugno, la scuola è finita. Gli scrutini sono iniziati e gli esami sono vicini, ma c’è un attimo di tregua ed è tempo di bilanci. Il piano programmatico attuativo triennale della legge 133 del 2008 si è abbattuto sulla scuola come uno tsunami, trasformandola in emergenza sociale. Decine di migliaia di lavoratori in meno, docenti e non docenti. Finanziamenti ridotti per miliardi di euro. Aule sovraffollate e prive di spazio vitale prima ancora che dei requisiti di sicurezza. Curricoli ridotti all’osso, con la cancellazione di sperimentazioni efficaci, di ore di storia, italiano, latino, inglese nei licei e di attività pratiche e laboratoriali negli istituti tecnici e professionali. Alle elementari i bambini non hanno più le maestre; in molti casi le famiglie italiane hanno dovuto rinunciare al tempo pieno. L’insegnante di sostegno per i bambini con disabilità o bisogni speciali è, troppo spesso, una chimera.
Nel Documento di Economia e Finanza presentato dal Consiglio dei Ministri il 13 aprile 2011 si prevede per il prossimo anno un taglio ulteriore di 4 miliardi e 561 milioni di euro. Nel 2015 la spesa per l’istruzione in Italia raggiungerà il 3,7% del Pil, quasi due punti in meno rispetto all’attuale media europea, mentre, afferma l’Istat, “la spesa in istruzione e formazione rappresenta uno degli indicatori chiave per valutare le policy attuate in materia di crescita e valorizzazione del capitale umano”. Il numero degli studenti per classe aumenterà ancora; non ci saranno definitivamente più supplenti, né fondi per finanziare corsi di recupero o di italiano per stranieri, né docenti per il sostegno, che anzi verrà forse privatizzato, con buona pace delle leggi e delle attività didattiche che, in passato, ci hanno resi un modello pedagogico nel mondo. Non ci saranno più fondi per i progetti contro la dispersione scolastica o per l’educazione degli adulti, né finanziamenti da destinare agli enti locali per mettere in sicurezza gli edifici scolastici, o per costruirne di nuovi; probabilmente gli attuali verranno dismessi e dati in comodato d’uso a chi poi, al momento opportuno, saprà ricavarne un profitto. I contributi volontari delle famiglie, sempre meno volontari e sempre più tassa scolastica occulta, aumenteranno ancora e con quelli, originariamente destinati all’ampliamento dell’offerta formativa, compreremo solo risme per le fotocopie, libretti, registri e qualche altro piccolo accessorio. Per il resto, dovremo cercarci uno sponsor locale, visto che la regionalizzazione dell’istruzione (con la modifica del titolo V della Costituzione) e la disgregazione dell’unitarietà del sistema (con la legge sull’autonomia scolastica), hanno dato facile stura alle istanze localistiche e privatistiche dei rappresentanti dell’attuale maggioranza parlamentare (vedi i DDL Aprea, Goisis, Pittoni). Quali clausole di salvaguardia è disposto a mettere in campo il centrosinistra che verrà, per arginare una deriva resa possibile dalle sue stesse leggi? Quali paletti è disposto a piantare, per evitare futuri finanziamenti anticostituzionali alle scuole che lui stesso ha voluto paritarie? Il sistema dell’istruzione statale in Italia è oggi allo stremo. La fortissima riduzione dei finanziamenti, unita alla mancata erogazione dei crediti da parte dell’amministrazione centrale (la cifra stimata è di un miliardo e mezzo di euro) che sta costringendo le scuole, per ripianare il disavanzo, ad usare tutti i fondi a loro disposizione, compresi quelli sulla sicurezza, costituiscono, nel loro insieme, il più feroce attacco alla scuola statale nella storia della Repubblica italiana. Moltissimi cittadini italiani, genitori, studenti, docenti, non condividono queste scelte di politica economica, che riflettono la visione del mondo di un governo che ci vuole tutti ignoranti, inconsapevoli, manipolabili e corruttibili. La scuola è come l’acqua: è un bene primario, che non può essere ceduto, o svenduto, o privatizzato. La scuola pubblica non è solo il nostro futuro, il futuro dei nostri figli, il futuro del nostro Paese. E’ soprattutto il nostro presente, il cuore delle nostre opportunità culturali e sociali, la possibilità di un riscatto, dell’emancipazione, della scelta. Poiché essa è, come recita l’articolo 3 della nostra Costituzione, il luogo in cui “ Nei “non luoghi” della surmodernità, essa è il luogo tanto più prezioso in cui ci si affaccia sulla realtà e sul mondo, in cui si sperimenta l’altro da sé, in cui si alimentano la curiosità, la fantasia, la conoscenza, il sapere, docenti e studenti insieme. Piero Calamandrei scrisse che “la scuola è aperta a tutti e se tutti vogliono frequentare la scuola di Stato, ci devono essere in tutti gli ordini di scuole tante scuole ottime, corrispondenti ai principi posti dallo Stato, scuole pubbliche, che permettano di raccogliere tutti coloro che si rivolgono allo Stato per andare nelle sue scuole. La scuola è aperta a tutti. Lo Stato deve quindi costituire scuole ottime per ospitare tutti. Questo è scritto nell’art. 33 della Costituzione. La scuola di Stato, la scuola democratica, è una scuola che ha un carattere unitario, è la scuola di tutti, crea cittadini che, come recita l’art. 151, possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. Di questi due articoli deve essere strumento la scuola di Stato, strumento di questa eguaglianza civica, di questo rispetto per le libertà di tutte le opinioni [...]”. Per questo non dobbiamo rinunciare a difenderla. Per quello che ha significato per noi. Per quello che può significare per i nostri figli e per il nostro Paese. Per questo è la madre di tutte le battaglie. E il centrosinistra che verrà deve garantirci che si impegnerà a vincerla. Anna Angelucci Coordinamento scuole secondarie di Roma |