15.294 adesioni in ventiquattr'ore e 24.322 complessive all'appello promosso da MicroMega in solidarietà con la Fiom, a testimonianza di quanto il sindacato dei metalmeccanici Cgil non sia isolato. L'obiettivo che ci siamo prefissati è di arrivare a 100mila firme entro il 28 gennaio, giorno dello sciopero generale. Arduo, ma a questo punto non impossibile. Coinvolgete e fate firmare i vostri amici [qui: http://bit.ly/appellofiom] perchè la lotta della Fiom è una lotta che riguarda anche la nostra libertà. www.micromega.net FIRMIAMO L'APPELLO IN CENTOMILA CON LA FIOM !sul sito www.liberacittadinanza.it La società civile con la Fiom: "Sì ai diritti, No ai ricatti". Firma l'appello di Camilleri, Flores d'Arcais e HackIl diktat di Marchionne, che Cisl e Uil hanno firmato, contiene una clausola inaudita, che nemmeno negli anni dei reparti-confino di Valletta era stata mai immaginata: la cancellazione dei sindacati che non firmano l’accordo, l’impossibilità che abbiano una rappresentanza aziendale, la loro abrogazione di fatto. Questo incredibile annientamento di un diritto costituzionale inalienabile non sta provocando l’insurrezione morale che dovrebbe essere ovvia tra tutti i cittadini che si dicono democratici. Eppure si tratta dell’equivalente funzionale, seppure in forma post-moderna e soft (soft?), dello squadrismo contro le sedi sindacali, con cui il fascismo distrusse il diritto dei lavoratori a organizzarsi liberamente. Torino , 04/01/2011 Lettera aperta dei lavoratori Fiat Mirafiori agli studenti. di i lavoratori Fiat Mirafiori La trovate al link http://www.retescuole.net/contenuto?id=20110104143649 Dai lavoratori Fiat Mirafiori, agli studenti e alle studentesse dell’Università e a tutto il mondo della formazione Viviamo in un periodo in cui il ceto politico e la classe dominante, anche attraverso un uso cinico della crisi economica, stanno ulteriormente peggiorando le condizioni di vita, di studio e di lavoro di tutti i settori più deboli della società. Vorremmo farvi partecipi della nostra condizione. Noi operai della Fiat circa trent’anni fa ambivamo e sceglievamo di entrare a lavorare in fabbrica con la prospettiva di un, seppur basso ma sicuro, salario mensile che ci consentisse un futuro dignitoso per noi e per la nostra famiglia: questa piccola sicurezza ci ha concesso, nel tempo, di poterci permettere il consumo di beni materiali in cambio del nostro lavoro fisico. Alle prime autovetture comprate a rate, andava a sommarsi il mutuo della casa e magari la rata del prestito per sostenere lo studio dei nostri figli, per assicurargli, illudendoci, un futuro migliore del nostro. Per anni abbiamo continuato ad ingurgitare e defecare beni materiali, producendo humus che concimava la pianta del sistema capitalistico. In fabbrica parlavamo (e magari qualcuno stupidamente investiva) di azioni, di borsa, di bolle di mercato…ed intanto quotidianamente i lavoratori morivano sui luoghi di lavoro. Ora in fabbrica si usa come arma psicologica la cassa integrazione, in questo modo non guadagni, non spendi e quindi non sei nessuno, non esisti. Il sistema capitalistico vuole cancellare in un sol colpo il passato (i diritti e il reddito conquistati con lotte, con sacrifici e morte dai nostri padri) ed il futuro, cioè la possibilità di studio e di emancipazione per i nostri figli, in cambio di un presente sempre più improntato ad un consumismo immediato. Questa condizione, sempre peggiorata negli ultimi decenni, ci porta a pensare che non è più possibile lottare individualmente o settorialmente; ci porta a credere che sia sempre più necessario costruire dei percorsi di unità. Vogliamo essere uniti nelle lotte perché noi crediamo che così si possano migliorare le opportunità di chi studia e di chi lavora. Uniti, perché il mondo del lavoro e quello scolastico vivono già una condizione precaria e gli interventi attuali volgono al loro peggioramento. Uniti, perché gli studenti di oggi, domani entreranno in un mondo del lavoro precario e noi, come hanno fatto i nostri genitori, dobbiamo far si che la nostra lotta respinga i provvedimenti di chi vuole fare solo “cassa” sulle vite dei più deboli. Oggi studenti e operai insieme possono creare un ponte, dove il mondo della formazione e la classe operaia e lavoratrice si uniscano per proporre un dialogo e un’unità per respingere gli attacchi di una società in cui solo una piccola parte decide per tutti. Per noi è importante uscire dalla fabbrica. Siamo convinti che sia necessario che tutte le realtà che oggi sono colpite in modo trasversale dai governi e dalle classi dominanti, debbano trovare un primo momento di confronto, di conoscenza, di discussione che porti a rafforzare le lotte di tutti e a mettere in campo una forza adeguata per poter tornare a migliorare le nostre condizioni di vita. Convergenze paralleledi Alberto Burgio-Il Fatto Quotidiano - 4 gennaio 2011 Mentre Marchionne detta le sue condizioni, parte del Pd si schiera al suo fianco rinverdendo una tradizione decennale di appoggio e sinergie con le forze più retrive della società Il ducetto della Fiat non aveva ancora finito di enunciare tutte le clausole del ricatto (o gli operai accettano turni di 11 ore rinunciando alle pause intermedie e allo sciopero, o la Fiat sbaracca e lascia l’Italia) che Piero Fassino già diceva, non richiesto, la sua: «Se fossi un operaio di Mirafiori, voterei sì». Nessuna sorpresa. Meno scontata è apparsa a qualcuno la presa di posizione di Massimo D’Alema, dichiaratosi anch’egli favorevole al cosiddetto accordo su Pomigliano, e in frontale dissenso dalla lotta della Fiom. Ma è così...? C’è davvero di che meravigliarsi...? O si tratta invece di una logica conseguenza della linea del Partito democratico, a sua volta coerente con la paradossale funzione politica svolta in questi quindici anni dal gruppo dirigente post-comunista del Pd...? Qualche anno fa Nanni Moretti se ne uscì con una battuta al vetriolo. Con questi dirigenti, disse, non vinceremo mai. E proprio a D’Alema rivolse l’esortazione a «dire qualcosa di sinistra». Oggi possiamo essere più cattivi senza essere meno obiettivi. Se D’Alema e i suoi colleghi non ci fossero, il padronato italiano e il suo massimo garante politico dovrebbero inventarli. Da quando “scese in campo” inaugurando la stagione politica più nera della Repubblica, Berlusconi non ha trovato in loro soltanto oppositori mancati, ma anche operosi mallevadori del proprio durevole successo. Non possiamo ricordare tutti gli episodi interessanti, limitiamoci ai più rappresentativi. Primo fra tutti il discorso del 28 febbraio 2002 alla Camera in cui Violante ricorda, a vanto del proprio partito, l’impegno a “non toccare le televisioni” di Berlusconi assunto nel 1994, la mancata promulgazione di una legge sul conflitto di interessi nel corso della precedente legislatura (quando il centrosinistra governava), il via libera alla eleggibilità di Berlusconi, titolare di importanti concessioni amministrative, e persino l’aumento (di ben 25 volte) del fatturato di Mediaset. Quel discorso è un monumento di lungimiranza e di sagacia politica. Dovrebbe figurare in tutti i libri di storia. Un altro passaggio indimenticabile, per restare sul terreno strettamente politico, è il Veltrusconi. Siamo alla fine del 2007, Prodi governa da due anni scarsi, la maggioranza è fragile per il risicato margine di voti al Senato e per la litigiosità dell’Unione. Ma la nave va e Berlusconi è in gravissima difficoltà nel centrodestra. Veltroni, appena eletto segretario del Pd, non trova di meglio che intavolare col padrone del neonato Pdl una (finta) trattativa sulla legge elettorale, accordandosi con lui per andare a elezioni anticipate (non lo insinuiamo noi, lo ha detto Prodi). Il risultato è il disastro in cui ci dibattiamo: una drammatica crisi generale (politica, sociale e morale) nella quale peraltro il Pd non gioca alcun ruolo attivo, se è vero che l’unico serio pericolo corso dal governo in questi due anni a mezzo lo si deve alla secessione di Fini dal Pdl. Intelligenza col nemico...? Semplice insipienza...? Per capire bisogna guardare ai risultati delle scelte politiche che hanno fatto dell’Italia il Paese più ineguale d’Europa e il più ostile nei confronti del lavoro dipendente. Si scopre allora che tra centrodestra e centrosinistra vi è una forte sintonia sulla politica economica (le privatizzazioni, la precarizzazione del lavoro, i bassi salari), sul terreno istituzionale (il maggioritario e il “federalismo”, il presidenzialismo negli Enti locali e la controriforma dell’Università), in politica estera (la partecipazione alle guerre “democratiche”). Non c’è bisogno di ipotizzare complotti: è che la cosiddetta “sinistra moderata” non ha un programma politico granché diverso da quello della controparte. La si può pensare in tanti modi in proposito, ma certo la convergenza di intenti tra i due poli è fonte di grossi guai per il centrosinistra. La sua base elettorale è frastornata e disorientata. Ha le idee sempre meno chiare su dove la si vorrebbe condurre (per cui sempre più spesso cede alle sirene dell’astensionismo). Il Pci aveva tanti limiti, ma evocava la trasformazione del modello sociale. Non soltanto una politica non collusa con la mafia e il neofascismo, anche una società giusta, rispettosa della dignità e dei diritti del lavoro. Oggi quale immagine di società si collega al Pd, dove don Camillo convive con un Peppone diventato chierichetto...? Mentre la destra attacca e sfonda sui fondamentali, l’opposizione balbetta sulle buone maniere. E nei fatti acconsente. Allora è venuto il tempo di diventare adulti, la ricreazione è finita. D’Alema non dirà qualcosa di sinistra semplicemente perché ha cambiato idea, come dimostra da ultimo la posizione assunta su Pomigliano (e lasciamo perdere, per carità di patria, le rivelazioni di WikiLeaks sulla magistratura che minaccia lo Stato democratico). Bisogna finalmente prendere atto che la sinistra è altrove e va ricostruita conquistando credito presso tanta gente che in questi anni ha subito le scelte del gruppo dirigente democratico nell’illusione di rimanere coerente con la propria storia. L’Italia non è di per sé un “Paese di destra”. Questo è un alibi, ed è la conseguenza di una opposizione “omeopatica” che non contende alla destra un palmo della sua egemonia. La battaglia va ripresa... Non soltanto per la sinistra, ma per il Paese. Per la democrazia italiana... I COBAS CONVOCANO LO SCIOPERO GENERALE PER IL 28 GENNAIO
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