Pubblicato da comitatonogelmini su 4 maggio 2012
Caro Pier Luigi Bersani,
sta per essere approvata la legge sull’autogoverno delle istituzioni scolastiche. Il Pd, che è stato fin qui determinante per la stesura e l’accelerazione dell’iter del testo che unifica proposte di vari partiti, la giudica una buona legge. Per noi non lo è affatto.
Non lo è perché, nonostante ci si sforzi di negarlo, è molto simile alla prima parte della proposta di legge Aprea presentata nel 2008, alla quale il Pd – finora – si era sempre dichiarato contrario.
Non lo è perché si basa su una distinzione tra funzioni di indirizzo e di gestione che determina uno svuotamento delle funzioni di quello che ora è chiamato Consiglio di istituto (e che nel nuovo testo si chiama Consiglio dell’autonomia) e un accentramento di potere nelle mani del dirigente.
Non è una buona legge perché vengono stravolti i criteri di rappresentanza delle componenti che vivono e lavorano nella scuola: scompaiono i consigli di classe, i rappresentanti di classe, le assemblee e i comitati dei genitori, le assemblee degli studenti, i rappresentanti del personale tecnico e amministrativo. Secondo la proposta, saranno i singoli Consigli dell’autonomia a prevedere norme al riguardo nei regolamenti di istituto, senza alcun vincolo, senza stabilire che tipo di rappresentanza, quali poteri, quali meccanismi di nomina, quale agibilità all’interno della scuola.
Non è una buona legge perché alla crisi degli istituti di partecipazione introdotti dal legislatore nel 1974 si risponde rendendo quella crisi ancora più grave, in quanto la proposta rende la rappresentanza indeterminata, differenziata, frammentata, e propone una scorciatoia “dirigista” in luogo della necessaria elaborazione di nuove e più incisive forme di autogoverno.
Non è una buona legge perché introduce l’autonomia statutaria delle singole scuole, un passaggio davvero eccessivo se pensiamo che l’autonomia statutaria è riconosciuta ai Comuni, cioè all’ente territoriale che rappresenta l’intera comunità e che esprime i suoi organi di governo attraverso elezioni a suffragio universale.
Non è una buona legge perché l’autonomia che ne deriva non è quella che serve alla scuola: un’autonomia didattica e organizzativa in grado di valorizzare le competenze educative dei docenti, le forme di autogoverno che coinvolgono in modo attivo e non formalistico tutte le componenti che vivono nella scuola, i legami con le opportunità educative e la realtà sociale del territorio. Sarà invece un’autonomia fondata sulla separazione, l’autoreferenzialità e la parcellizzazione, un’autonomia centrata su un dirigente scolastico nominato dall’alto, un’autonomia più attenta alle logiche aziendali (competizione e mercato) che al progetto educativo e ai bisogni sociali.
Non è una buona legge anche per altre ragioni che saremmo lieti di spiegarle se ci ascoltasse. Ma è proprio la manzanza di ascolto il motivo che – prima ancora di tutti gli altri – rende questa proposta di legge una cattiva proposta di legge. La revisione e unificazione dei testi, infatti, è avvenuta in poche settimane nel comitato ristretto della VII Commissione della Camera. Nessuna informazione, nessuna trasparenza, nessun coinvolgimento del mondo della scuola. Nessuno ne ha saputo nulla fino all’ultimo, e ora rischiamo di non saperne più nulla fino all’approvazione finale.
Non è una buona legge quella che viene varata in fretta e in segreto, non è una buona legge quella che manda in soffitta senza alcun confronto pubblico l’intero sistema degli organi collegiali, che – pur con tutti i loro limiti – erano stati varati in ben altro clima partecipativo. Non è una buona legge quella che si abbatte sul sistema scolsatico senza dare ascolto alle sue componenti. Questo era il metodo di Moratti e Gelmini, ovvero il metodo di Berlusconi. Non pensavamo potesse essere anche il metodo del Pd.
Il suo partito si fermi a riflettere. Ascolti le nostre ragioni, prenda sul serio le nostre obiezioni, esamini le nostre proposte. Stabilisca un confronto non formale e non puramente simbolico tra noi e i parlamentari e i tecnici del suo partito che stanno lavorando alla legge. E infine, pretenda che la legge esca dalle commissioni e venga portata in aula, con i giusti tempi, la dovuta trasparenza e il necessario dibattito pubblico.