di Girolamo De Michele
Testo integrale dell'intervento letto alla serata “Un panino con Dante”, Ferrara, 15 dicembre 2010
Ieri tutti quelli che credono che l'opposizione sia questione di palle sul pallottoliere hanno dato tutti i numeri di cui erano capaci. Mi permetto di dare anch'io qualche numero.
Dalla
Sintesi Dati Scuola Statale 2009-2010, pubblicata dal ministero dell'istruzione, possiamo farci un'idea della reale entità dei taglio dello scorso anno: quando, per capirci, il riordino dei cicli scolastici della scuola superiore non era ancora entrato in vigore. La dotazione organica del personale docente è diminuita, dal settembre 2008 al settembre 2009, di 36.806 unità.
leggi il resto dell'intervento su
www.carmillaonline.com/archives/2010/12/003725.htmlaggiungo anche il link all'articolo su Repubblica, che "pungola" la mancata protesta nella settimana prima di Natale, in corrispondenza con l'approvazione del DDL del 22
universita-parma.blogautore.repubblica.it/2010/12/22/tace-la-citta-parma-la-citta-che-non-protesta/esperienze di partecipazione nelle consulte per genitori
www.educationduepuntozero.it/community/esperienze-partecipazione-che-fanno-scuola--3081611852.shtmle il calendario dei precari...
bari.repubblica.it/cronaca/2010/12/27/foto/scuola_il_calendario_dei_precari-10617044/1/28/12/2010
Le scuole dovranno pagare tutte le visite fiscali richieste dal 2008.
di francesco orecchioni
E' quanto hanno stabilito le sezioni riunite, massimo organo contabile della Corte dei conti.
http://www.corteconti.it/export/sites/portalecdc/_documenti/controllo/sezioni_riunite/sezioni_riunite_in_sede_di_controllo/2010/delibera_62_2010_contr.pdfIl ricorso sistematico alle viste fiscali per assenze anche di un giorno imposto da Brunetta ha determinato dei costi esorbitanti per le amministrazioni pubbliche.
Le ASL, alle prese con i tagli imposti dalle varie finanziarie, sono tornate alla carica, presentando il conto e le magistratura contabile ha confermato non solo che le visite fiscali sono a carico delle scuole, ma che le medesime dovranno pagare gli arretrati dal 2008.
I provvedimenti demagogici del ministero dell'innovazione hanno dunque prodotto il colpo di grazia per i bilanci delle scuole, già ridotti all'osso.
Chi pagherà, Ministro Brunetta, per le inefficienze del Ministero dell'innovazione?
martagatti
Disoccupazione, Sacconi: "La colpa? E' di cattivi genitori e cattivi maestri"
Il ministro invita a rivalutare il lavoro manuale e l’istruzione tecnica: "Bisogna evitare che una scelta liceale sia fatta per sola convenzione sociale e magari non vedendo che un govane ha l’intelligenza nelle mani". E spiega: "Genitori distratti e cattivi maestri li hanno condotti a competenze che non sono richieste dal mercato del lavoro"
Tra le ragioni dell’alta disoccupazione dei giovani in Italia ci sono anche i "cattivi maestri" e i "cattivi genitori". Il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, avverte che è necessario rivalutare il "lavoro manuale, l’istruzione tecnica e professionale evitando che una scelta liceale sia fatta per sola convenzione sociale e magari non vedendo che un giovane ha l’intelligenza nelle mani".
L'avvertimento di Sacconi I giovani, ha detto Sacconi parlando su radio Rai 1, "sono certamente particolarmente esposti alla disoccupazione soprattutto perché pagano il conto di cattivi maestri e qualche volta di cattivi genitori, perché distratti e cattivi maestri che li hanno condotti a competenze che non sono richieste dal mercato del lavoro". Per il ministro la risposta "fondamentale" non può che essere "quella dell’investimento nelle conoscenze, nelle competenze, dalla scuola all’università, alla formazione che si deve realizzare in particolare dalla scuola al lavoro. L’orientamento delle scelte educative è un momento importantissimo. Noi cerchiamo di aiutarlo rafforzando le informazioni sul mercato del lavoro, un programma che realizziamo con le camere di commercio e che a regime ogni tre mesi su base provinciale darà informazioni sulle competenze attualmente e prospetticamente chieste dal mercato del lavoro"
Mi chiedo:
Chissà perché quando si pensa al lavoro manuale si pensa a quello artigianale, ovvero a quelle professioni cui tutti temiamo di dover ricorrere quando ci si rompe un rubinetto, una maniglia della finestra, un'anta della cucina, per la manutenzione della caldaia o alle quali dobbiamo ricorrere periodicamente per l'auto.
Scommetterei che se tutti quegli sciagurati che vogliono il figlio dottore ne facessero degli artigiani si avrebbe una tale inflazione di professionisti che, per la sacra legge della domanda, e dell'offerta questi non potrebbero più arricchire tanto e finirebbero per essere scontenti come i laureati figli di operai che ora sono disoccupati.
Chissà perché, noi figli di famiglie umili, quelle illuse da
certa politica della sinistra, quando pensiamo ai lavori manuali pensiamo a quello degli operai delle fabbriche, per esempio quelli di Mirafiori, i quali, dopo anni di tagli degli esuberi, di cassa integrazione e di ricatti sociali dovrebbero ora accettare un accordo che impone 10 ore di lavoro per 6 giorni alla settimana rivedendo i dirittia malattie e riposo per 2-300 euro in più, selezionando e scartando dalla
democrazia sindacale i sindacati che non sono d'accordo.
Noi pensiamo a quel lavoro manuale. Alienante, spersonalizzante, usurante e che spesso, sempre più spesso, uccide.
Chissà perché noi vogliamo che i nostri figli sappiano 1000 parole come i padroni e non 100 come gli operai e non ci basta che la scuola sia semplicemente alla mercè del mercato e del mercato del lavoro, che poi corrisponde con il mercato dello sfruttamento, in un'economia capitalista sempre più cieca e chiusa in se stessa, incapace di sviluppo se non ricorrendo periodicamente alla catasrtofe
naturale o alla guerra.
.Uno slogan dei
nostri studenti dice "ci vogliono ignoranti, ci avranno ribelli".
E noi sappiamo che il capitalismo, periodicamente, induce la popolazione alla disperazione e, se la popolazione è ignorante si ribella in modo scomposto.
Se i ribelli non saranno ignoranti faranno rivoluzioni importanti, di quelle che cambiano il mondo e lo sovvertono, come alcune volte è capitato.
...E noi insistiamo:
vogliamo, esigiamo, che i nostri figli possano studiare, di tutto e di più, anche quello che non serve ai padroni, in scuole e università qualificate!
Ciao,
Mauro Arletti.
La disoccupazione? Colpa dei genitori
Sacconi contro chi pretende per i figli la laurea a tutti i costi. Risultato di una visione culturale inculcata da una politica di sinistra che puntava a uno sviluppo egualitario della società.
Bei tempi quando il famoso «pezzo di carta» dava il diritto ad entrare tra la gente che conta! Un lavoro importante, un bello stipendio: per molti era il biglietto da visita dell’emancipazione sociale oppure la conferma di appartenere alla classe dirigente della nazione. Era un altro mondo. Brutta cosa avere nostalgia del passato, ma quando lo sguardo all’indietro spiega un percorso sbagliato, la nostalgia si prende la rivincita.
Cosa si è sbagliato? Ma, intanto, perché si è sbagliato?
Nella media europea l’Italia ha pochi laureati e molti disoccupati laureati. Senza scomodare ancora le statistiche, è invece sotto gli occhi di tutti l’assenza di artigiani qualificati. In questi ultimi cinquant’anni, abbiamo avuto un grande sviluppo di impiego «astratto» e una perdita secca di lavoro «manuale». È il risultato di una visione culturale messa in atto dalla politica più vicina all’idea che lo sviluppo egualitario della società fosse la scelta giusta da perseguire attraverso lo studio universitario. La laurea diventa così, per molti genitori di umili origini, l’obiettivo che i propri figli avrebbero dovuto raggiungere per riscattare la povertà famigliare.
Quante volte nei miei anni di insegnamento mi sono sentito dire: «Abbiamo fatto tanti sacrifici che lei neppure se lo immagina, professore, per far studiare nostro figlio. E adesso che si è laureato - l’ha laureato lei, si ricorda? - è disoccupato da più di un anno. Ci aiuti: cosa dobbiamo fare?». E io non posso farci, purtroppo, niente.
Quella divisione sociale, che certa politica di sinistra pensava di superare facendo tutti dottori, non soltanto non è stata superata, ma è diventata molto più crudele di un tempo. Adesso abbiamo laureati, avvocati, ingegneri, architetti, che hanno buoni guadagni perché lavorano nello studio del padre; e poi abbiamo il gran numero di laureati disoccupati semplicemente perché sono figli di nessuno, di nessun professionista. Sono senza lavoro e, per di più, frustrati, delusi: forse ancor più delusi e frustrati i genitori rispetto ai figli con quel «pezzo di carta» che è costato tanto e che non serve a niente. Ovvio, la regola ha le sue eccezioni: per fortuna e per bravura c’è ancora chi, pur figlio di nessuno, riesce ad aprirsi la strada. Ma è una piccola minoranza.
D’altra parte, cosa dovrei dire a quei genitori sconsolati, talvolta - vi assicuro - disperati, che vengono a chiedermi aiuto? Dovrei spiegare che le lauree universitarie sono cose per disoccupati, quando nell’università sorgono come funghi le più allettanti (in apparenza) «offerte formative», che prevedono i più impensabili, fantasiosi e assolutamente inutili corsi accademici come, per esempio, quello sul «benessere dei cani e dei gatti» (giuro che è così)?
Il ministro della Pubblica istruzione sta facendo un po’ di repulisti in questi corsi di laurea velleitari che, comunque, non si dimentichi, non sono sorti per colpa di un destino cinico e baro, ma dalla testa dell’ex ministro della Pubblica istruzione, Luigi Berlinguer.
Finalmente, quello che con franchezza non riesce a dire il professore, lo dice adesso il ministro Sacconi. È stata sistematicamente distrutta la cultura del lavoro; è stato umiliato il lavoro dell’artigiano, quasi fosse un’attività per deficienti e, di conseguenza, è stata costruita un’impalcatura scolastica con cui si è azzerato il valore dello studio che preparava alla professione dell’artigiano. Politica e sindacato hanno meticolosamente costruito l’idea che il diritto allo studio fosse il diritto a laurearsi. Ottima la convinzione che la laurea diventasse un obiettivo per chiunque, ma deleteria la comunicazione sottostante a quella convinzione, e cioè che soltanto i laureati avrebbero potuto avere un lavoro dignitoso.
Naturalmente in questa trappola ideologica ci sono caduti per primi i genitori più sprovveduti, proprio quelli che più andavano difesi. I genitori, cioè, che sognavano per i propri figli una vita migliore della loro, proprio grazie al «pezzo di carta». Ma non soltanto loro sono stati ingannati dall’idea che solo la laurea potesse rappresentare un dignitoso punto d’arrivo scolastico per i propri figli.
Va cambiata una mentalità; solo una cultura politica che restituisca significato e valore sociale al lavoro artigianale può modificare quella mentalità. I genitori, a cui sta a cuore la sorte dei propri figli, devono essere aiutati a capire, attraverso iniziative politiche e sindacali nel mondo della scuola e del lavoro, che il «pezzo di carta» è oggi, sempre più spesso, un qualunque pezzo di carta.
Stefano Zecchi, Il Giornale, 28/12/2010Milano, 24/12/2010
E voi cosa farete?
Dopo i moti del 14 dicembre, dopo le manifestazioni del 22 ...
di Michele Corsi
Il DDL Gelmini è stato approvato ieri anche al Senato. Gli studenti universitari di Roma avevano dato vita il giorno prima ad una grande manifestazione pacifica. A dieci giorni dai "moti" del 14 dicembre, forse è possibile qualche considerazione che può esserci utile per i tempi a venire.
I giorni successivi al 14 i media hanno enfatizzato al massimo gli incidenti che si erano prodotti dopo l'annuncio del voto di fiducia a Berlusconi, mentre l'imponente manifestazione della mattina era subito sparita dalla visualizzazione informativa. Questa scelta è ovvia per le tv di Berlusconi: avevano la necessità di ricondurre tutto ad una questione di ordine pubblico. Il problema è che la stessa scelta ha caratterizzato anche il racconto della giornata da parte dei media che si posizionano contro Berlusconi, o per lo meno non sono a lui troppo favorevoli.
Eppure gli incidenti occorsi in Piazza del Popolo e dintorni erano di una gravità ben inferiore a quella che si era registrata in situazioni analoghe ad Atene e Londra. I media inglesi e greci, però, non hanno sottolineato più di tanto quelle espressioni "violente". E non hanno perso di vista il "nocciolo" della questione.
Nei giorni successivi il 14, poi, spariva dai media il "nocciolo" della questione, cioé il fatto che il Senato si apprestasse a votare il DDL Gelmini, mentre si moltiplicavano gli allarmi per la manifestazione studentesca che si preparava.
Non è solo questione di media. Le "organizzazioni di massa" d'opposizione, politiche e sindacali, si sono espresse allo stesso modo: l'impressione che davano era che temessero di più la possibilità di incidenti che il passaggio parlamentare del DDL Gelmini. Gli incidenti del 14 hanno fatto scattare tutta una serie di reazioni automatiche anche in quegli intellettuali che, almeno in teoria, dovrebbero manifestare simpatia nei confronti degli studenti. Saviano ha usato accenti molto duri verso i "50 imbecilli" che secondo lui avrebbero provocato incidenti, in una lettera che, a sua volta, non offriva nemmeno una riga, però, al "nocciolo" della questione, cioé la riforma Gelmini.
In realtà la ricostruzione degli avvenimenti del 14, offerta da un volume tale di testimonianze da renderla inoppugnabile, permette una lettura ben diversa da quella poco accorta di Saviano. Nella mattina si erano svolte manifestazioni che avevano visto marciare insieme pezzi fondamentali dell'opposizione "di base" al governo: studenti, metalmeccanici, terremotati, ecc. Una inedita unità assai poco sottolineata. L'annuncio che Berlusconi era sopravvissuto ha fatto scattare un senso di impotenza enorme: noi che là non c'eravamo possiamo però ben intuire, andando con la nostra memoria emotiva a quel momento, il desiderio intenso, battuto, che Berlusconi fosse sfiduciato. La massa frustrata si è poi trovata nell'impossibilità di manifestare questa emozione sotto i palazzi del potere. La polizia aveva infatti bloccato gli accessi alle strade con i suoi mezzi. A parte qualche episodio marginale, la rabbia dei manifestanti si è sfogata contro quei mezzi, cioé contro l'ostacolo fisico che li separava dalla possibilità di manifestare il proprio dissenso. Un ostacolo che in altri Paesi non c'è. Gli studenti inglesi hanno potuto manifestare anche sotto Westminster, i manifestanti del Tea Party statunitense hanno invaso addirittura il Congresso per protestare contro la riforma sanitaria e nessuno ha tolto loro un capello. Che i cittadini possano protestare sotto i palazzi del potere è un diritto democratico, che va difeso. Non è cosa "naturale" isolare i luoghi della democrazia e delle decisioni dalla libera espressione della gente.
Nei primi giorni dopo il 14, gran parte della sinistra e del "popolo viola" ha cercato di leggere quegli incidenti come opera di infiltrati. Non si può negare la possibilità che vi fossero infiltrati, ma le "prove" che sono state portate non hanno retto due giorni. Si è passati allora ad incolpare misteriose cupole di centri sociali ed antagonisti, settori politici in realtà divisi e in crisi quanto lo sono i partiti della sinistra più moderata. Eppure i fatti hanno la testa dura: gli studenti arrestati erano incensurati e sconosciuti ai nutriti schedari della polizia; l'episodio del ragazzo che ne ha colpito col casco un altro nell'intento grottesco di "fare servizio d'ordine", è la dimostrazione della totale confusione che regnava nella piazza; nelle assemblee della Sapienza che si sono svolte dopo il 14 non vi è stato alcun settore significativo di studenti che abbia rinnegato i fatti del 14. Gli stessi studenti che sono stati ricevuti da Napolitano, oggi osannati, hanno comunque fatto educatamente presente al Presidente che loro erano gli stessi del 14.
Queste reazioni automatiche e impaurite da parte di media, intellettuali ed organizzazioni del campo "antiberlusconiano" ci dicono una cosa, molto semplice: non si vuole accettare che il 14 c'è stata una reazione di massa, radicale, rabbiosa, violenta e spontanea. Quello che una volta si chiamava "moto di piazza". I ricordi citati sono andati, con grande stupore da parte degli studenti, al '77, una congiuntura storica che non ha nulla a che vedere con l'attualità. Anche gli intellettuali che ancora oggi fanno riferimento a quell'esperienza hanno cercato di intepretare i fatti in quella chiave, compiendo un errore di analisi speculare alla sinistra più moderata, ma altrettanto grave: non hanno perso l'abitudine di valorizzare i fatti sociali solo quando questi si manifestano in scontri con le forze dell'ordine; oggi, dopo la manifestazione pacifica del 22, non sanno che dire.
In realtà il 14 dicembre assomiglia a ciò che è avvenuto tante volte nella storia d'Italia. I moti spontanei di chi si opponeva al fascismo nelle strade di Parma, i moti dei ragazzi con le magliette a strisce del 1960, quelli degli universitari di Valle Giulia nel 1968, o degli operai di Corso Traiano nel 1969. Tutti episodi, violenti, spontanei e di massa, che hanno segnato epoche, e ai quali, a posteriori, gli storici di qualsiasi orientamento attribuiscono una importanza fondamentale per il mutamento progressivo della nostra società. Anche perché molti dei loro protagonisti siedono ora negli uffici dirigenti di banche, tv, giornali o sugli scranni del Parlamento, in tutte e due gli schieramenti. Certe analisi ossessionate dalla non violenza ascoltate in questi giorni, mi ricordano la rigidità di certe ideologie che ascoltavo con scetticismo in passato quando qualche gruppetto spiegava tutto a suon di citazioni tratte dai sacri testi. L'Unità d'Italia che ci apprestiamo a celebrare è stata fatta con delle guerre, dal fascismo ci siamo liberati con la guerriglia. I non violenti assoluti ci riflettano. Non perché oggi dobbiamo fare le stesse cose (mi pare ovvio che NON dobbiamo fare le stesse cose), ma perché l'ideologia pacifista, al pari di qualsiasi ideologia, ci impedisce di cogliere i fenomeni sociali nuovi che accadono sotto i nostri occhi. I moti del 14 dicembre non vanno giudicati: vanno analizzati. Essi ci sono stati, stanno lì davanti a noi, ci parlano: dobbiamo ascoltarli. E, a mio avviso, ci dicono questo.
Il nostro Paese è stanco di quella massa di buffoni che siede al governo. Gli studenti universitari di Roma (così come gli studenti medi hanno fatto a Milano) hanno attraversato, per la prima volta, i quartieri popolari: se fossero stati considerati una massa di facinorosi, come sono stati dipinti per dieci giorni dai media, pensiamo davvero che sarebbero stati accolti così festosamente dai loro abitanti? Gli automobilisti bloccati si sarebbero messi a salutarli col clacson invece di sclerare? In Italia c'è una massa di scontento in ebollizione che attende il momento di farla finita con questo governo, dentro un incrocio, estremamente pericoloso per i potenti, ma che dovrebbe essere magico per le forze di opposizione, di crisi politica e crisi economica, in una situazione in cui anche le forze dell'ordine si sentono poco rispettati da chi li comanda. Una coincidenza che in altri Paesi ha provocato "moti" che hanno spazzato via governi e dittatori nel giro di pochi giorni.
E' quello al quale dobbiamo lavorare? No di certo. Non siamo il Kirghizistan. Ma la potenza inespressa della rivolta che cova nella massa di studenti, precari, operai, dovrebbe dire alle forze politiche e sindacali che allo scontento collettivo va dato espressione, spazio, organizzazione, forza d'impatto. Un piccolo esempio. Una settimana fa Forza Nuova voleva aprire una sede in pieno centro a Milano. Cosa succede normalmente in questi casi? Che si muovono gruppi più o meno organizzati di giovani che per impedire lo scempio si "scontrano" con le forze di polizia pagando prezzi altissimi in termini di denunce, ecc. Invece questa volta è accaduto un fatto nuovo: l'iniziativa se l'è presa in carico la Camera del Lavoro. Ed ha imposto con la propria "mole" e Ia propria iniziativa che quella sede non venisse aperta. Il risultato è stato ottenuto lo stesso, ma senza incidenti, senza violenza, senza giovani denunciati o manganellati dalla polizia. La Camera del Lavoro di Milano è rivoluzionaria? No: è una tra le più moderate d'Italia e il suo segretario è considerato un terrificante "destro". Ma ha capito una cosa: è il vuoto di iniziativa di chi dovrebbe organizzare la protesta che provoca "incidenti". La violenza nasce dal basso nel momento in cui dall'alto delle organizzazioni, ci si rifiuta di usare la forza di cui si dispone. Per questo la sinistra ha difficoltà a "vedere" i moti del 14 dicembre: perché costituiscono lo specchio della propria inazione.
Quindi, cari politici e intellettuali che avete predicato sino alla noia in questi giorni sul pericolo della violenza, ora, cosa farete? Cosa farà Susanna Camusso, neosegretaria della Cgil, che agli studenti ha raccontato che "non ci sono le condizioni per lo sciopero generale"? Potrebbe spiegare a noi lavoratori quando queste condizioni sarebbero propizie? Aspetta che Berlusconi si rafforzi di nuovo? O che il tasso di disoccupazione raddoppi? O che Marchionne sia imitato da ogni padrone in tutta Italia? Cosa farà Pantaleo, segretario della FLC, il potente sindacato dei lavoratori della conoscenza, che pronuncia molti discorsi di sinistra, va alle manifestazioni della Fiom, ma non ha fatto l'unica cosa concreta di sinistra che avrebbe potuto fare e cioé proclamare uno sciopero della scuola e dell'università? Cosa farà Bersani, il grande stratega politico che in una situazione estremamente propizia come l'attuale l'unica cosa che gli viene in mente è promettere a Casini la futura presidenza del consiglio? Casini, quello che è d'accordo con la riforma Gelmini della scuola, che apprezza Marchionne e che se ne frega della disoccupazione? E Saviano, lo aspettiamo al varco: ha dato degli "imbecilli" a quelli del 14, provi ad insultare con pari passione anche Fini, che ha votato a favore del DDL Gelmini. Signori, quando comincerete ad analizzare i fenomeni sociali e ad ascoltarli invece di precipitarvi a condannarli? Quando comincerete a fare il vostro mestiere? Siete contenti? Gli universitari il 22 hanno dimostrato quello che già era evidente: di essere ragionevoli e intelligenti. Bene, e ora voi, dirigenti della sinistra, dirigenti dei sindacati, intellettuali, voi: cosa farete?
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