di Paolo La Valle Caro Roberto,
a scriverti è un ragazzo di ventisei anni, uscito da pochi mesi dall'università. Non ho scritto Gomorra, non scrivo su Repubblica, non ho fatto trasmissioni. Ma non è solo al passato che posso parlare: non scriverò un libro di successo, non scriverò su un grande giornale, non dominerò l'auditel in una trasmissione Rai.
Ti scrivo per la stima che il tuo libro mi ha portato ad avere nei tuoi confronti e per la disillusione che questa tua lettera ha causato in me.
Vorrei essere franco e parlare al di fuori delle parole d'ordine che un movimento (qualsiasi movimento) impone per essere schietto e provare a fare un passo oltre il 14 dicembre, altrimenti si guarda sempre al passato e non è il passato a preoccuparmi adesso.
E' proprio dalle parole d'ordine che vorrei iniziare. Scrivi che le nostre parole sono nuove, che non ci sono più le vecchie direttive: grazie. Non sai quanto possa essere grande questo complimento, proprio da te, che sei diventato una figura di riferimento rompendo un ordine costituito di parole. Le cose che scrivevi in Gomorra c'erano da tempo, andava trovato un modo per dirlo e tu l'hai fatto. Non è poco.
D'altro canto vedo in te il peccato originale da cui ci metti in guardia. Vedo nella tua lettera l'utilizzo di quelle parole d'ordine, di quelle direttive che sono vecchie che sono scollegate dal mondo.
Cos'è questo continuo richiamo agli autonomi del
77 che si legge in molti articoli e anche nel tuo? E
il dogma con cui si finisce per sdoganare ogni protesta. Ma non li vedi i movimenti in Francia, a Londra ad Atene? Non ci pensa mai nessuno che sono molto più vicine a noi quelle cose, piuttosto che le immagini in bianco e nero di quarant'anni fa?
Io non sono nessuno per spiegarti cose che sai meglio di me, però guarda le foto: guarda quanta gente c'è in Piazza del Popolo? quanta gente ha resistito agli scontri? E non sotto l'impulso di una rabbia improvvisa, la gente è in piazza c'è rimasta per due ore, tutto il tempo per fare sbollire un'emozione e, se voleva, andarsene. Succede che i cortei si distacchino da azioni che non condividono, l'altro giorno non è successo.
"Non usate i caschi, siate riconoscibili": belle parole, ma parole d'ordine. Vecchie, stantìe. La gente che in queste settimane è stata denunciata per avere occupato i binari, le strade era riconoscibile. La gente che è venuta a contatto con la polizia perché veniva impedito l'accesso a una zona della città, era riconoscibile. Siamo sempre stati tutti riconoscibili. E siamo stati e saremo denunciati. E siamo stati tutti menati, abbiamo ancora i cerotti. Anche i Book Block, quelli che tu chiami "buoni" hanno i caschi. Caro Roberto, quelli sono manganelli, fanno male. Questo è quello che fa il governo, che fanno le questure. Dici che quando scendiamo in piazza ci troviamo di fronte poliziotti che sono uomini, ebbene perché questo discorso è sempre unilaterale? Anche noi siamo siamo uomini, donne, perché nessuno ci difende?
Quando bisogna difendere le forze dell'ordine si fa a grandi parole, grossi titoli. Quando si devono difendere i manifestanti si fa con piccoli accenni fumosi. Difendeteci, difendete le nostre proteste, questa deve essere la prima cosa. Capite le nostre ragioni, altrimenti, mi dispiace, fra di noi non ci capiremo mai, ci perderemo.
Con questo non voglio dire che il mondo intero deve bruciare. Il mondo deve essere sempre più bello, Piazza del Popolo deve raccogliere feste, le piazze delle singole città devono riempirsi di gioia, ma questo va costruito. E' una posta in palio che si può mettere in piedi tra chi si riconosce, tra chi lotta insieme.
La testa va usata per pensare, lo scrivi tu. Hai perfettamente ragione ed è grazie al ragionamento, al cervello che possiamo capire che ogni momento è diverso dal precedente, ogni momento ha il suo modo di essere vissuto, i contesti sono fluidi, non sono bianchi o neri. La rabbia e i caschi di un giorno possono, diventare l'abbraccio collettivo del giorno dopo, la salita sui tetti. Dobbiamo avere l'intelligenza per farlo, per cambiare noi stessi, essere diversi ogni giorno, lottare con armi ogni giorno diverse, ogni giorno spiazzanti.
Altro dogma: quello dei buoni e cattivi, c'è ovunque sui giornali. Giornalisti che dicono di non aver peli sulla lingua e di dire cose fuori dallo schema che condannano una parte e assolvono l'altra. Ma è proprio questo lo schema. Buoni e cattivi non esistono, ma non lo dico io, lo dici tu, nel tuo libro, quando mostri che nel sistema camorristico ci sta dentro chiunque, anche suo malgrado. Ma non esistono nemmeno in Dostoevskij (quando mai!), in Pirandello, in Melville, in Flaubert, in Stendhal, non esistono nell'Orlando Furioso e nemmeno nella Divina Commedia: Ulisse, che per l'ansia di viaggiare abbandona la famiglia e fa morire i suoi compagni, è buono o cattivo? Quando vediamo il diavolo che piange, proviamo ribrezzo o pietà? Dio, che non fa entrare Virgilio in paradiso, è buono o cattivo? Solo gli ignavi sono beceri, quelli che seguono la bandierina, che seguono le parole già dette, solo loro sono beceri per definizione. Se guardi a chi si è dissociato dai fatti di piazza, ritroverai in loro gli ignavi, si tratta di rappresentanze che contano quanto i cosiddetti traditori del parlamento: non fanno niente, non hanno mai fatto niente, hanno solo promesso e guardato a se stessi. Non mi curo di loro, guardo e passo avanti.
Per il resto la vita è molto più complicata del rapporto bene o male. E molto più variegata. Pensaci un attimo, sono due mesi che la gente scende in piazza e questo movimento non ha ancora un nome, come nei romanzi di Saramago. Siamo sempre "quelli che hanno fatto questo" oppure ci dicono che siamo di un luogo "quelli dell'Aquila, di Terzigno". E' una forza, non credi? Vuol dire che siamo indefinibili: siamo quello che facciamo.
L'altro giorno avevamo i caschi. Domani magari porteremo delle girandole in questura, l'indomani Book Block, il giorno dopo ruberemo in libreria i volumi che ci piacciono e che costano diciotto euro e che non possiamo permetterci (ci difenderai?), parleremo con gente di altre generazioni, staremo con loro, cammineremo. Ci difenderai o ci attaccherai? In ogni caso sappi che saremo sempre le stesse persone.
Altri nemici non ne voglio, caro Roberto, ti ho scritto quello che pensavo, ti ho descritto la situazione reale che c'è stata in Piazza del Popolo, ti ho descritto la situazione quotidiana. Sta a te decidere cosa vuoi leggere nelle proteste. Vuoi leggere un rigurgito del '77? Va bene. Ti diremo che siamo più vicini alle proteste di Londra e Parigi. Vuoi leggere una violenza di gruppi sparuti? Ti diremo che Piazza del Popolo non la riempiono cento persone. Vuoi leggere la violenza solo come un voto in più a Berlusconi? Va bene, leggeremo nelle tue parole una semplicità di analisi disarmante che si basa su un sistema binario, Zero Uno, Zero Uno. C'è un'infinità di numeri tra cui scegliere e te ne dico un altro: Centomila, sono le persone che l'altro giorno stavano in piazza insieme, al di là di ogni rappresentanza.
Paolo La Valle
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